Cibo bio dietro le sbarre. Pare incredibile: i detenuti sono stipati in celle troppo piccole, l'Europa condanna l' Italia con ritmi da catena di montaggio e la Corte di Strasburgo è letteralmente sommersa da almeno mille ricorsi in cui si contesta di tutto: dalla mancanza di acqua calda nelle docce all'assistenza sanitaria insufficiente, ma soprattutto il troppo poco spazio a disposizione. Non importa, l'importante è aggiornare i menu e dare agli abitanti dei penitenziari, ristretti in spazi claustrofobici, un'alimentazione più equilibrata. Il resto verrà, se verrà.
Così il provveditore per il NordEst, in sostanza il responsabile di tutte le prigioni di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, ha indetto una gara del valore di quasi 14 milioni e mezzo di euro, per la precisione 14.473.119 euro, Iva esclusa, per «l'affidamento del servizio di mantenimento di detenuti e internati - cosi recita il faticoso burocratese del documento - attraverso l'approvvigionamento di derrate alimentari derivanti da processi di produzione a ridotto impatto ambientale per il confezionamento di pasti giornalieri completi (colazione, pranzo e cena) ai ristretti negli istituti penitenziari». Il messaggio è chiaro: in galera si sta scomodi e pure peggio, qualcuno anzi non regge quella situazione e si ammazza, ma in futuro si mangerà meglio. Almeno fra Verona e Trieste.
Del resto una legge, la 221 del 28 dicembre 2015, impone la svolta nel segno della green economy. Certo, basta intendersi sulle priorità: nell'ormai lontano 1999 l'allora dominus del sistema carcerario tricolore Giancarlo Caselli presentò il nuovo regolamento, cosi avanzato da sembrare, anzi essere il libro dei sogni. L'acqua bollente, i bidet, le finestre più grandi e ben illuminate, i menu differenziati sulla base dell'appartenenza religiosa e poi, naturalmente, la sempre sbandierata e mai realizzata ora di affettività, ovvero sesso, con mogli e fidanzate. Qualcosa si è fatto, ma molto, moltissimo resta da fare e i detenuti hanno imboccato la strada di Strasburgo: c'è chi è rimasto per mesi incollato a una mattonella, potendo calpestare meno di tre metri quadri e per questo Roma è stata condannata a risarcire il malcapitato ma anche invitata a correre ai ripari. Vale a dire: anzitutto costruire nuovi padiglioni. Va detto che Strasburgo non indica uno spazio personale minimo, ancorando la sua valutazione ad una serie di parametri che oscillano: dalle condizioni di salute del detenuto alla lunghezza della pena fino alle possibilità di accesso al passeggio all'aria aperta; il Comitato europeo per la prevenzione della tortura è molto più rigido e pretende 7metri quadri a testa. Fantascienza per certe realtà del nostro Paese: strutture vecchie e malandate, con problemi cronici aggravati dal rimescolamento della popolazione negli ultimi anni; sempre più stranieri, a volte dalla nazionalità incerta, con rischi crescenti di forme estreme di lotta e di protesta. Suicidi, autolesionismo, radicalizzazione nel segno del jihadismo. Ormai, un giorno si e l'altro pure qualche documento ufficiale sottolinea la possibilità che l'Isis recluti adepti nei gironi delle carceri.
Va bene lo stesso, anche se la coperta è corta e i soldi sempre meno. La pena deve avere un valore non solo afflittivo, come dicono gli esperti, ma anche rieducativo e per rimettere sula buona strada la pecorella smarrita servono tante cose: il lavoro anzitutto, che purtroppo latita, e poi lo svago, il cibo e tutto il resto. Attenzione: ci sono anche carceri modello, come Bollate, alle porte di Milano, dove alcuni galeotti hanno perfino la sala in cui suonare la chitarra e dove funziona un ristorante gestito dai detenuti, inGalera, con tempi di prenotazione lunghissimi e recensioni entusiastiche sui più importanti giornali del mondo.
Ma ci sono anche realtà arretrate, con ambienti così piccoli e soffocanti che tutti gli inquilini non possono alzarsi contemporaneamente in piedi. Forse occorrerebbe riflettere ancora prima di dedicare quasi 15 milioni ad un capitolo meno urgente. E invece a giorni si chiuderà la gara. Viva il bio, anche se a tavola bisogna fare i turni.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.