I l nome più eclatante non c'è. Stefano Bonaccini non figura tra i 41 consiglieri regionali emiliani per i quali ieri la Procura di Bologna ha inviato l'avviso di chiusura indagini, che solitamente prelude alla richiesta di rinvio a giudizio. Il candidato Pd alla presidenza della Regione aveva chiesto e ottenuto l'archiviazione per le spese che gli venivano contestate dai pm Morena Plazzi e Antonella Scandellari per circa 4mila euro. Ma per il Pd la notizia della chiusura delle indagini arriva come uno tsunami improvviso e soprattutto insolito. Ad appena 15 giorni dal voto per la successione di Vasco Errani la magistratura presenta il conto dopo due anni di indagini e migliaia di scontrini esaminati nell'ambito dell'inchiesta «Spese pazze». Dei 2 milioni di rimborsi contestati, sui quali grava lo spettro dell'accusa di peculato, oltre 900mila sospetti sono in capo ai Dem. Non tutti però sono finiti nell'inchiesta, tra questi ci sono anche alcuni candidati. Ma la maggior parte degli ex consiglieri rossi, 18, è in compagnia di tutti gli altri: dall'Idv all'Udc, passando per M5S, Forza Italia e la Lega. Ce n'è abbastanza per far dire ai vertici di Legacoop Emilia Romagna che la magistratura è stata «tempestiva». E se la centrale delle coop rosse si espone così vuol dire che il timore che sotto le due Torri arrivi il vento dell'anti politica, è concreto. Dal canto suo la procura si difende: «Abbiamo rispettato dice l'aggiunto Walter Giovannini i tempi dell'inchiesta. Non dimentichiamo che in passato ci è stato anche attribuito un ritardo nello svolgimento della stessa».
Tra i coinvolti c'è anche Matteo Richetti, il deputato renziano doc che fino a settembre era lo sfidante di Bonaccini alla guida della Regione e che si dimise in un drammatico pomeriggio proprio quando si diffuse la voce era tra gli indagati. Le accuse sono quelle che già erano emerse. C'è la consigliera Pd Moriconi che si faceva rimborsare i sex toys (ma lei, eletta nel listino bloccato di Errani e soprannominata la cat woman di Bersani, nega: «Mai entrata in un sexy shop») o quello che invece faceva pipì nei bagni pubblici a spese dei contribuenti. Ma anche chi comprava abiti di sartoria a piè di lista. Ma la parte grossa dei rimborsi contestati sono per cene e trasferte. Ristoranti, alberghi, viaggi privati mascherati da istituzionali. Un fiume di scontrini per certificare che così «facean tutti», anche se a ben guardare la notizia dell'inchiesta ha indignato di più i moralisti della sinistra che fino a ieri si stracciavano le vesti per i guai della destra. C'è anche l'Italia dei Valori che è finita del mirino della procura per due convegni, con il sindaco di Napoli Luigi de Magistris e con il vicedirettore del Fatto quotidiano Marco Travaglio, decisamente fuori portata in termini di costi. Ma c'è anche chi portava a spasso la famiglia e poi si faceva autorizzare la trasferta dal proprio capogruppo, come il caso del Pd Luciano Vecchi, oggi assessore alle Attività produttive. Per lui, la magra attenuante che comunque si trattava di ristoranti di fascia media. Il suo capogruppo invece, Marco Monari, era già stato pizzicato nel week end a Venezia. E mentre il Codacons invita tutti i cittadini emiliani a costituirsi parte civile, la Lega Nord ne approfitta con il leader federale Matteo Salvini che si fa fotografare davanti alla sede della coop Terremerse di Imola perché «in fondo, tutto è cominciato da qui», alludendo alla condanna del presidente Vasco Errani, che ha costretto l'Emilia ad andare anticipatamente al voto. Qualcuno su Facebook chiede che i candidati indagati si ritirino dalla corsa per la Regione.
Ma c'è già chi mette le mani avanti come è il caso della Pd Palma Costi, candidata ma non coinvolta nell'inchiesta e che ricorda, con spirito di garantismo «tombale», che «un'indagine non è una sentenza». Nel centrodestra lo dicevano spesso, ma l'effetto solitamente era diverso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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