Alla faccia del «basta casta»! Nell'ultima seduta del consiglio regionale della Puglia, il 27 luglio, è stato approvato un emendamento firmato dai capigruppo di tutti i gruppi consiliari (incluso il Movimento 5 Stelle che appoggia il governatore Emiliano e che esprime un assessore) che ripristina l'assegno di fine mandato per tutti i consiglieri. Con una particolarità: la norma è retroattiva e vale a partire dal primo gennaio 2013, data nella quale era stata abolita in un impeto di populismo da parte di Nichi Vendola.
Il costo? Sono 4 milioni di euro. Si tratta di un calcolo molto sommario che include gli attuali 50 consiglieri e 9 assessori in carica dal 2020 (700mila euro), i componenti della passata legislatura (2 milioni di euro) e i 70 dei tempi dell'ex leader di Sel (circa un milione). Più nel dettaglio, l'assegno «è fissato nella misura dell'ultima mensilità dell'indennità di carica lorda (circa 7mila euro; ndr) percepita dal consigliere cessato dal mandato, moltiplicata per ogni anno di effettivo esercizio del mandato». Grosso modo 35.500 per ogni consiliatura. Anche se viene chiamata «indennità di liquidazione», tuttavia, non è equiparabile all'accantonamento del Tfr in quanto nella busta paga dei consiglieri non viene effettuata una trattenuta ad hoc.
Al di là della mancanza di sensibilità da parte della classe dirigente di una Regione che versa in pessime condizioni economiche sintetizzate dalla drammatica crisi dell'Ilva e di tutto l'indotto del Tarantino, il blitz estivo del consiglio regionale pugliese segnala che ormai i Cinque stelle possono essere considerati «omogenei» a quella politica e a quelle istituzioni che dicevano di voler aprire «come una scatoletta». Come ha spiegato la capogruppo M5s, Grazia Di Bari, al Corriere del Mezzogiorno, «Per noi sarà ridotto come avviene per le indennità che percepiamo da consigliere», ha dichiarato che «abbiamo il massimo rispetto per i soldi dei pugliesi, come dimostrano anche le restituzioni che abbiamo fatto nella scorsa legislatura per oltre 600mila euro e che ovviamente stiamo facendo anche in questa legislatura per dar vita a nuovi progetti». E forse non è un caso che la denuncia della reintroduzione dell'assegno di fine mandato sia giunta proprio da Antonella Laricchia, candidata pentastellata alla presidenza della Regione che ha da tempo manifestato il proprio dissenso verso l'ingresso nella giunta di Emiliano. «Uno scandalo», ha commentato, aggiungendo che «già nella scorsa legislatura avevano provato a reintrodurre il trattamento di fine mandato, non riuscendoci, mentre questa volta invece nel silenzio generale questa norma è passata».
Per il governatore Michele Emiliano un'altra grana politica dopo il caso dell'appoggio alla
ricandidatura di Pippi Mellone, sindaco uscente di Nardò, in provincia di Lecce, eletto con una lista civica ma con simpatie di destra. Una sortita che ha portato il senatore piddino Dario Stefano ad autosospendersi dal partito.
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