Un tempo era per il no. "Quando sono diventato vicepresidente del Csm nel 2010, - spiega Michele Vietti - pensavo che la separazione delle carriere non fosse una necessità. I passaggi da una funzione all'altra erano merce rara, mi sembrava che quel sistema potesse anche andare avanti così". Oggi? Vietti, ex sottosegretario alla giustizia ed ex numero due di Palazzo dei Marescialli, sì concede una breve pausa, poi va avanti deciso: "Ritengo che questa riforma si debba fare. O meglio, giunti a questo punto, le nuove norme devono essere difese".
Perché?
"Il potere dei pm, nel tempo, è cresciuto e c'è il rischio concreto che l'accusa si espanda sempre più. Questo va contro lo spirito della Costituzione, ovvero dell'articolo 111 che non c'entra con questo referendum, ma dice che accusa e difesa devono battagliare su un piano di parità. Anche nelle formazione della prova".
Dunque, nelle fase delle indagini?
"Non sono un penalista, però le parole dell'articolo 111 mi sembrano chiare. Già oggi c'è una sproporzione evidente fra pm e avvocati in sede processuale, ma questo divario si amplia nello spazio delle indagini. Il pm dispone della polizia giudiziaria, intercetta, raccoglie le prove, ha un arsenale di armi. Se poi è pure collegato al giudice, allora davvero il difensore viene a trovarsi in una posizione di manifesta inferiorità".
I pm ribattono che non sono questi i problemi della giustizia italiana, ma semmai la lentezza esasperante.
"Questo è benaltrismo. E col benaltrismo non si va da nessuna parte, o meglio questo è il modo migliore per non cambiare mai niente. La sostanza è che il pm ha molti più mezzi e risorse dell'avvocato e dunque bisogna cercare di ristabilire un confronto alla pari, cominciando nella fase delle indagini. Del resto è quello che prevedeva e prevede anche il codice di procedura penale introdotto nel 1989".
Ma il pm, come sostiene l'Anm, non rischia di finire sotto il tallone dell'esecutivo?
"Semmai temo l'opposto".
Cioè?
"Si creano due Csm. Questo vuol dire che i pm avranno la maggioranza schiacciante nel loro Csm. Insomma, può accadere che l'organo di governo dei pubblici ministeri diventi un centro di potere. Più che il pm dimezzato io vedo un super pm".
Sarebbe l'eterogenesi dei fini. Cosa proporrebbe in alternativa?
"Forse sarebbe stato più corretto concentrarsi su un unico Csm, con due sezioni. Certo, i dettagli, se vincerà il sì al referendum confermativo, li conosceremo con la legge ordinaria".
Il sorteggio?
"È un altro elemento che mi lascia perplesso. Io sono stato al Csm due volte: nel 1998 come consigliere e nel 2010 come vicepresidente e non credo che tutti i magistrati abbiano le qualità e l'interesse per svolgere un compito così specifico".
Il sorteggio, le obietterebbero molti fautori della riforma, c'è già per la scelta dei giudici del Tribunale dei ministri o per i giudici popolari nelle corti d'assise. Perché non dovrebbe andare bene per arrivare al Csm?
"Perché di fatto si va a svolgere un altro lavoro che richiede competenze e attitudini specifiche. È un cambio di passo che io non affiderei al caso".
Ma in questo modo non salterebbero gli accordi sottobanco fra le correnti?
"Anche su questo versante sono scettico. All'Anm sono iscritti più o meno il 90% dei magistrati italiani. Con il sorteggio arriveranno a Roma senza il voto della loro corrente, ma l'appartenenza non si cancella e fatalmente salterà fuori.
Immagino che ciascuno cercherà quelli a lui culturalmente più vicini e certi nodi si scioglieranno solo apparentemente. La riforma nel complesso resta però un passaggio epocale . Cosi importante che lo affronteremo venerdì e sabato prossimi a Stresa in un convegno promosso dalla Fondazione Iniziativa Europa".