Errori e fallimenti in Libia ora Gentiloni ammette il flop

Lo Stato Islamico avanza nel Paese e il ministro ammette il rischio di una nuova Somalia. L'allarme però arriva dopo anni di colpevoli perdite di tempo da parte anche dell'Italia

Errori e fallimenti in Libia ora Gentiloni ammette il flop

C'è voluto un po', ma l'ha capito anche Paolo Gentiloni. «Se non agiremo presto - spiega il ministro degli esteri - la Libia diventerà un'altra Somalia». La metamorfosi «somala» dell'ex colonia dura, in verità, dall'agosto di un anno fa, quando le milizie islamiste di «Fajr Libia» (Alba Libia) cacciano da Tripoli il legittimo governo del premier Abdullah Al Thani costringendolo all'esilio a Tobruk. Il tutto sotto gli occhi di un Matteo Renzi e di una Federica Mogherini (allora ministro degli esteri) che si guardano bene, nonostante la presidenza dell'Unione Europea, dall'avviare iniziative per salvare dal caos l'ex colonia.

Il ministro Gentiloni, arrivato alla Farnesina a fine ottobre 2014 s'allinea ben presto all'inerzia di un governo che in otto mesi non muove un dito, né per fermare l'avanzata di uno Stato Islamico distante solo 400 chilometri dalle nostre coste, né per bloccare i giochi di una coalizione islamista ben felice di finanziarsi con il traffico di uomini verso l'Italia.

Il nodo di quest'inerzia è la decisione di riporre fiducia nella missione «impossibile» di Bernardino Leon, l'inviato dall'Onu incaricato di raggiungere un accordo con le varie fazioni libiche e far nascere un governo di unità nazionale. Chi ha visto all'opera un Leon impegnato da dodici mesi in inconcludenti discussioni con fazioni tanto ininfluenti quanto inconsistenti sapeva da tempo che la sua missione era destinata al fallimento.

Eppure davanti alla necessità di fermare lo Stato Islamico il governo Renzi ha preferito privilegiare la cosiddetta azione «diplomatica» soppiantando le proposte di chi, nello stesso esecutivo, suggeriva uno stretto coordinamento con l'Egitto e qualche fazione di Misurata, insofferente ai diktat islamisti di Tripoli. Ora l'allarmato Gentiloni e quanti confidavano in un piano irrealizzabile, si ritrovano a far i conti con un gravissimo errore politico strategico. La comprova del fallimento della missione dell'inviato dell'Onu si nasconde, paradossalmente, all'interno dello stesso accordo che Bernardino Leon ha fatto firmare ad una ventina di fazioni libiche convocate a Skhirat, in Marocco, lo scorso luglio.

L'accordo firmato da Tobruk e da fazioni locali in larga parte ininfluenti non è stato siglato né dalla coalizione islamista di Tripoli, né dalle decine di signori della guerra che si contendono il controllo del territorio alla testa di milizie e gruppi armati. Quel pezzo di carta non è insomma - come fanno credere l'Onu e il nostro governo - il primo passo verso la nascita di un governo di unità nazionale, ma la comprova nero su bianco dell'insuccesso di Leon. Un insuccesso largamente annunciato visto che Turchia e Qatar, veri padrini e protettori delle milizie islamiste al potere a Tripoli si sono sempre guardati dal favorire un piano per il ridimensionamento dei loro alleati. La nascita e il consenso di un governo di unità nazionale sono infatti fra le «condicio sine qua non» richieste dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu per dare il via libera ad una missione navale europea a guida italiana davanti alle coste libiche.

Pretendere che le milizie al potere a Tripoli, arricchitesi con il flusso miliardario di contanti garantito dal traffico di uomini, si mettano d'accordo con i rivali di Tobruk e favoriscano l'avvio di una missione destinata a combatterle è come pretendere che il tacchino si presenti da solo nelle cucine del pranzo di Natale. In Libia l'hanno capito da tempo.

In Italia eravamo i soli disposti a crederci. Ora dietro l'allarmata intervista di Gentiloni emergono le preoccupazioni del governo. Un governo che dopo otto mesi di cieca fiducia nel «piano Leon» rischia di non aver più opzioni per fermare uno Stato Islamico che, dopo averci ripetutamente minacciato si sta dimostrando la più agguerrita tra le fazioni libiche. Se un «niet» del Consiglio di Sicurezza farà archiviare la missione navale europea all'Italia non resterà che ritornare sui propri passi e cercare la collaborazione con l'Egitto.

Prima però dovremo trovare qualcuno disposto a combattere per conto nostro al fianco di un esecutivo di Tobruk troppo «allineato» al Cairo.

Avevamo

otto e passa mesi per farlo. E a Misurata qualcosa si poteva trovare. A furia di sperare in Leon ci siamo dimenticati di farlo. E ora potrebbe esser troppo tardi per recuperare il tempo perduto. Esattamente come un anno fa.

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