Politica

Eterna lotta Roma-Milano a colpi di pensioni d'oro

Capitale politica e capitale economica si contendono il primato anche con i vitalizi degli ex deputati

Pensionati in attesa in un ufficio dell'Inps
Pensionati in attesa in un ufficio dell'Inps

Roma - È il 25 giugno del 1946, seduta inaugurale dell'Assemblea costituente. Un deputato buontempone, per scherzo, fa recapitare un bavaglino e un ciuccio all'eletto più giovane, il democristiano Giorgio Tupini, ventiquattro anni da qualche giorno. È il figlio di Umberto che sarà sindaco dc della Capitale di lì a qualche anno, ma soprattutto è il più stretto collaboratore di Alcide De Gasperi. Quando il leader muore, nel 1954, lui si dimette dalla Camera. È appena la seconda legislatura, ma non per questo non dà diritto al vitalizio (-1,25 milioni lo sbilancio accumulato), sebbene Tupini abbia poi presieduto Fincantieri, Finmeccanica, Alitalia e il Credito fondiario.

Tupini significava Roma e la Capitale ha sempre avuto un primato nel mondo della politica. Un primato che il cuore economico del Paese, cioè Milano, ha sempre cercato di contenderle: non è un caso che la riscossa del Psi sia partita proprio dalla Lombardia con Bettino Craxi che portò con sé a Montecitorio i sindaci meneghini del Garofano: Carlo Tognoli (-591mila euro) prima e Paolo Pillitteri (-591mila euro, pubblicato sabato) dopo. Era un modo per dimostrare la propria forza (e anche per aprire un giro di valzer a Palazzo Marino): Milano era centrale. Questo forte significato simbolico sarà confermato anche dalla Lega Nord che, all'inizio si proponeva come alternativa all' ancien régime Dc-Psi. Il colpo grosso a Milano Umberto Bossi l'ha messo a segno con il deputato Marco Formentini (-461mila euro), guarda caso un ex socialista.

A Roma, invece, soprattutto nella Prima Repubblica, l'essere sindaco era solo una tappa di passaggio nel cursus honorum democristiano. Valga come esempio Clelio Darida (-1,2 milioni il «buco» previdenziale), sindaco della Capitale del forte sviluppo edilizio degli anni '70 che aveva come assessore ai Lavori pubblici Publio Fiori (-513mila euro), anima cristiana di Alleanza nazionale. Tutti e due hanno compiuto il salto dal Campidoglio a Montecitorio. Ma Roma è anche un simbolo: ai tempi del pentapartito Craxi volle anche lui il «suo» sindaco e lo individuò in Franco Carraro, oggi senatore di Forza Italia. Per Bettino fu una grande soddisfazione visto che i riottosi socialisti romani rispondevano più agli input del capataz locale Paris Dell'Unto (-994mila euro) che a quelli di Via del Corso. Il contrappasso ha voluto che il virtuale liquidatore del Psi milanese sia stato un romano: Agostino Marianetti (-770mila euro).

Anche la Seconda Repubblica ha vissuto di simbolismi ma a percorsi inversi: non a caso i primi cittadini della Capitale sono stati famosi ex parlamentari come Francesco Rutelli, Walter Veltroni, Gianni Alemanno (tutti e tre ancora in attivo per quanto riguarda la differenza tra contributi e vitalizi erogati) fino all'attuale Ignazio Marino. E il Pci-Pds-Ds? La sua storia è stata sempre «romanocentrica» non solo negli uomini di punta come D'Alema e Veltroni, ma anche nelle seconde linee come Antonello Falomi (-155mila euro), vero pasdaran dell'antiberlusconismo ma anche estremo difensore del vitalizio, denunciando «una insidiosa campagna mediatica che ha attaccato le nostre condizioni di parlamentari cessati dal mandato». La sinistra milanese ha sempre avuto un ruolo marginale anche perché, prima di Pisapia, è quasi sempre stata opposizione. Da Milano sono giunti due ex segretari dei giovani comunisti: Gianfranco Borghini (-482mila euro) e Marco Fumagalli (-141mila euro) oltre a un cassintegrato dell'Alfa di Arese, Alvaro Superchi (-217mila euro), giunto a Montecitorio per grazia di Nilde Iotti.

Una differenza sociologica evidente anche negli altri partiti. Come quello radicale: a Roma il pannelliano e dogmatico Gianfranco Spadaccia (-542mila euro), a Milano il liberal Lorenzo Strik Lievers (-338mila euro). Anche il vecchio Msi era così: nella Capitale gli almirantiani un po' più governisti, in Lombardia l'intransigente Tomaso Staiti di Cuddia (-931mila euro). Quella tra Roma e Milano è stata anche una sfida calcistica: alla Camera si sono seduti Gianni Rivera (-630mila euro) e Gaetano Morazzoni (-773mila euro), un campione e un presidente del Milan preberlusconiano. An portò sui banchi Luigi Martini (-309mila euro), terzino della Lazio scudettata nel '74. Il pallone e la poltrona piacciono sia al sciur Brambilla che ai Cesaroni.

(9-continua)

Commenti