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Il fallimento del cop26 (e di Greta)

Il fallimento del cop26 (e di Greta)

Ebbene sì, questa volta hanno ragione i giovani, almeno in parte. «Questa non è più una conferenza sul clima, è un festival del greenwashing per i Paesi ricchi», ha denunciato la pasionaria Greta Thunberg, usando un termine azzeccato, cioè lavarsi la coscienza col verde. Come darle torto. D'altronde, al Cop26 di Glasgow c'è stato un grande bla bla, ma pochi fatti concreti. Qualcosa si muove, inutile negarlo, ma appare poco rispetto all'emergenza che il pianeta si trova ad affrontare. Per uno degli obiettivi più qualificanti («consegnare il carbone alla storia») non è stato raggiunto un accordo globale. Al summit scozzese sul clima sono stati circa 40 i Paesi che hanno preso questo storico impegno ma, ahinoi, i principali utilizzatori di combustibili fossili, cioè Cina e Stati Uniti (ma anche India, Russia e Australia) si sono chiamati fuori. I toni entusiasti del ministro britannico per gli Affari e l'Energia, Kwasi Kwarteng, («la fine del carbone è in vista») non hanno un riscontro concreto, se non in piccola parte. L'obiettivo del tetto di 1,5 gradi di riscaldamento globale non è di fatto raggiungibile se i maggiori Paesi inquinatori non firmeranno l'accordo. Come pure le zero emissioni entro il 2050.

D'accordo, piccoli passi, come è stato anche per la deforestazione. Non si può pretendere che il mondo cambi da un giorno all'altro, ma almeno l'impegno a farlo in tempi ragionevoli sarebbe già qualcosa. Ma anche il vertice scozzese è stato un fallimento, inutile nascondersi. E, ieri, nella giornata dedicata ai giovani, sono stati proprio loro a urlare la propria insoddisfazione. A Glasgow sono infatti scesi in piazza, come fanno ogni venerdì in ogni parte del mondo, giorno dedicato al consueto sciopero del clima di Fridays for Future. L'invocata «giustizia climatica» e le accuse ai governi mondiali, però, non risolvono il problema. E, manifestare ogni settimana, se da un lato tiene desta l'attenzione sul tema, dall'altro non pare che produca effetti tangibili. D'altra parte, sono molti i Paesi che si sono dati una mossa, la consapevolezza dell'emergenza è concreta, ma non è pensabile azzerare le economie, con relative ricadute su occupazione e Pil, in tempi brevi. La transizione ecologica è ai primi passi e serve anche una svolta culturale. A Glasgow, il ministro Roberto Cingolani ha lanciato la proposta di cominciare dalla scuola. Non è una cattiva idea. Un programma pilota per educare e aggiornare gli insegnanti perché, ha detto, «non c'è una preparazione sufficiente ad affrontare le questioni legate alla transizione ecologica e ai cambiamenti climatici».

Un altro piccolo passo.

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