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Fallita l'ultima mediazione: la Lega perde e resta zitta

Siri lancia le dimissioni differite prima di Conte ma non serve a nulla. Ira di Salvini in Ungheria

Fallita l'ultima mediazione: la Lega perde e resta zitta

Roma - Per la Lega il licenziamento in diretta in tv del sottosegretario Armando Siri da parte del premier Giuseppe Conte è la peggiore sconfitta mediatica della segreteria Salvini. La melina del Carroccio per mettere al riparo il consigliere del segretario, finora solamente iscritto nel registro degli indagati per corruzione dalla Procura di Roma, non è servita a nulla. L'intransigenza di Conte, che si è concesso anche il lusso di invitare i leghisti a «non lasciarsi guidare da un'ispirazione corporativa», e l'esultanza di Di Maio e dei Cinque stelle, che su questo tema incalzano da due settimane, hanno lo stesso effetto di un colpo proibito in un match di boxe. La strada è segnata: o Siri si dimette o i Cnque stelle faranno sentire la loro consistenza numerica al governo votandone l'estromissione.

Una vera umiliazione se si pensa che mercoledì il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, alter ego di Salvini, aveva mantenuto il punto. «Il presidente del Consiglio e Siri si sono spiegati, non conosco il contenuto dell'incontro, ma al momento resta lì anche se credo non abbia le deleghe, quindi resta lì», aveva dichiarato dandone per scontata la permanenza.

L'assenza del Capitano, a Budapest per un incontro con il presidente magiaro Viktor Orbán, ha lasciato scoperto il fronte e i grillini ne hanno approfittato per maramaldeggiare. Tant'è vero che la convocazione della conferenza stampa di Conte nel tardo pomeriggio ha colto il quartier generale di sorpresa e si è cercato di tamponare la falla con una dichiarazione ad hoc di Siri stesso. «Dal primo momento ho detto di voler essere immediatamente ascoltato dai magistrati per chiarire la mia posizione», ha reso noto l'ideatore della flat tax all'italiana aggiungendo che «la disponibilità dei magistrati ad essere ascoltato c'è e confido di poterlo fare a brevissimo» confidando in un'archiviazione ma «qualora ciò non dovesse accadere, entro 15 giorni, sarò il primo a voler fare un passo indietro, rimettendo il mio mandato».

Salvini, interpellato a Budapest prima dell'intervento di Conte, aveva cercato di minimizzare mascherando rabbia e insoddisfazione. «Oggi ho dedicato la giornata ad altro: qualunque decisione mi va bene se Conte me la spiega e la spiega agli italiani», aveva sottolineato aggiungendo che «i magistrati sono pronti a incontrare Siri e dimostrerà totale estraneità a una vicenda surreale». Pur rimarcando che «in un Paese civile non funziona così», il leader del Carroccio aveva puntualizzato che si tratta di «una vicenda locale che non ferma il governo, ma sulla flat tax chiediamo ai Cinque stelle velocità non sulle dimissioni di Tizio o di Caio». Insomma, un modo come un altro per ribadire che le priorità sono differenti rispetto a quelle dell'alleato di governo.

La campagna elettorale, però, sta smontando le certezze e, se il M5s ha ritrovato la ragione sociale nel giustizialismo d'antan, la Lega si prepara a diventare maggioranza di governo a Bruxelles cercando l'intesa con il Ppe sulla linea Orbán. «Non solo controllo dei confini e lotta all'immigrazione clandestina, ma flat tax per imprese e famiglie subito», ha chiosato. Una politica che riporta il Carroccio verso Forza Italia. Ma la capogruppo azzurra alla Camera, Mariastella Gelmini, pone una precondizione.

«La Lega, se coerente con i valori del centrodestra, ritiri la delegazione dei ministri e ponga fine alla farsa di questo governo che si fonda sulla cultura anti impresa e sul giustizialismo», ha dichiarato.

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