La fase due del governo parte con il portafoglio dell'Italia sempre più vuoto. «La miseria dell'Italia», titolava ieri l'inserto settimanale del Frankfurter Allgemeine in prima pagina sotto la vignetta di un Salvini urlante a bordo di una vecchia Cinquecento scassata e senza ruote.
Di certo le finanze languono. La Banca d'Italia ha tagliato le stime del Pil italiano per gli anni 2019-2021 e si riserva una ulteriore correzione, nel bollettino economico che sarà diffuso a luglio. Venerdì lo spread è sceso sotto i 260 punti base ma il debito pubblico resta a quota 2.359 miliardi. Intanto il pressing della Ue sull'Italia si fa sempre più forte e il governo ha meno di una settimana per convincere l'Europa a non aprire la procedura di infrazione. E se anche ci riuscirà, potrebbe dover comunque preparare una correzione dei conti finora respinta perché «non necessaria» dal ministro dell'Economia, Giovanni Tria, per poi affrontare la legge di Bilancio. Una manovra, comprensiva di tagli, da almeno 40 miliardi se si vorranno contemporaneamente evitare 15 miliardi di aumenti Iva e abbassare le tasse senza toccare il deficit. Finanziando anche la flat tax.
Al netto dei numeri, c'è un problema politico. Il progetto della Lega (flat tax al 15% per i redditi fino a 50mila euro) si scontra con l'ipotesi portata avanti dai Cinque stelle che vogliono un'altra riforma basata su nuovi scaglioni e nuove aliquote. Tanto più che, né per la flat tax né per i progetti grillini di sostegno alla famiglia, non esiste alcun tesoretto cui attingere. Il reddito di cittadinanza e quota cento hanno comportato una minor spesa pari a circa un miliardo ma tale somma, essendo già a deficit, non potrà essere destinata ad alcuna altra iniziativa di politica economica. La legge finanziaria varata dall'attuale governo lo scorso inverno prevede, infatti, una specifica clausola di salvaguardia. Le due voci avrebbero potuto essere finanziate fino a un massimo di circa 14 miliardi per anno, eventuali risparmi sarebbero andati direttamente a ridurre il deficit. Ed è esattamente quello che in queste ore va sostenendo il ministro Tria quando anticipa la riduzione di uno 0,2% del rapporto deficit/pil.
Adesso si guarda al 26 giugno, come data possibile per adottare la raccomandazione sulla procedura. La quale dovrà poi essere comunque approvata dall'Eurogruppo e dall'Ecofin dell'8-9 luglio. Cruciale, quindi, sarà il vertice europeo di giovedì e venerdì prossimi, dove il premier, Giuseppe Conte, incontrerà il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker. Ma sulle relazioni tra le due anime del governo, quella leghista e quella grillina, c'è anche un'altra data che incombe e da cui dipenderanno anche le prossime strategie di politica economica: il 15 luglio. Si tratta della data tecnica oltre la quale le prime elezioni utili cadrebbero direttamente a marzo del 2020. Tradotto: se scoppiasse una crisi tra i due alleati prima del 15, si andrebbe ad elezioni in settembre.
Se il governo cadesse dopo il 15, però, il Quirinale sarebbe costretto a portare in Parlamento un governo tecnico che, anche senza la fiducia delle Camere, resterebbe in carica per gestire le partite correnti e la
manovra autunnale. Ipotesi sgradita soprattutto a Salvini. Ecco perché qualcuno si aspetta che Luigi Di Maio possa usare questa leva per rompere le uova nel paniere del Carroccio mettendo la flat tax ancor più sulla graticola.
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