«Questa esperienza di martirio per la mia famiglia e il sangue di mia sorella Simona spero possano contribuire a costruire un mondo più giusto e fraterno». Ci vogliono la fede e la forza d'animo di don Luca Monti, fratello di una delle vittime italiane della strage di Dacca, per reagire senza odio a quanto accaduto nel ristorante assaltato venerdì sera. Una forza tanto più grande perché Simona Monti, la sorella di don Luca, portava in grembo un bambino di pochi mesi: la decima vittima italiana della strage.
Simona doveva tornare domani a casa, a Magliano Sabina, per portare a termine la gravidanza nella serenità della sua famiglia: invece tornerà in Italia tra mercoledì e giovedì, in una bara su un volo militare, accanto ad altre otto bare, gli altri connazionali ammazzati senza pietà perché non sapevano recitare il Corano. Nove famiglie, sparse dal Nord al Sud del Paese, aspettano ora di riavere i resti dei loro cari. Ma passeranno ancora diversi giorni, perché prima di essere riconsegnati ai parenti i corpi dovranno passare per l'istituto di medicina legale, per l'autopsia disposta dalla Procura di Roma nell'ambito dell'inchiesta aperta sabato. Inchiesta verosimilmente inutile, perché si muoverà da 7mila chilometri di distanza, senza altre fonti che quelle che i bengalesi vorranno passare, perché incredibilmente, nonostante l'uccisione di Cesare Tavella a settembre, i nostri servizi segreti non hanno creato un avamposto nel Paese per proteggere la comunità italiana.
Di quella comunità, unita dalla passione per il business del cotone, facevano parte tutti i morti. Come racconta a Sky il sindaco di Viterbo parlando di Nadia Benedetti, che proprio ieri sarebbe dovuta tornare in Italia per una vacanza: «Nadia era parte di un'Italia migliore di cui a volte ci dimentichiamo».
Ma nelle reazioni che continuano a affluire prende forma anche il lato privato delle vite spezzate dal fanatismo del commando. E tra queste spicca il racconto che il medico bolognese Paolo Morselli dedica a Claudia D'Antona, l'imprenditrice torinese il cui marito Gianni Boschetti si è salvato dalla strage solo perché era uscito a telefonare. Morselli racconta che la sua onlus, Interthnost Interplast, da tempo opera in Bangladesh per soccorrere le donne punite, secondo una barbara usanza locale, sfigurandole con l'acido: e il contributo di Claudia e suo marito fu decisivo. «Quando abbiamo iniziato a operare a Dacca, nel 1988 - spiega il chirurgo al Resto del Carlino - da quelle parti per noi non c'era niente. La nostra equipe medica aveva un contatto al Dhaka Medical College Hospital e nulla più. Avevamo bisogno di tutto. E tutto, i Boschetti, ci offrirono. Per intere settimane l'intera equipe è stata ospitata da Gianni e Claudia e dai loro amici. Ci hanno accuditi, dato da mangiare e da dormire, accompagnati ogni giorno in ospedale. Hanno perfino sempre gestito loro lo sdoganamento dei nostri strumenti chirurgici. Tutto sempre a spese loro. Ci hanno cambiato la vita».
Quasi tutti i
nove morti avevano una pagina Facebook, ed è qui che ora si concentrano ricordi e messaggi di dolore. Ma anche, come su quella dell'imprenditore brianzolo Claudio Cappelli, messaggi di rabbia e persino richieste di vendetta.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.