Guerra in Ucraina

Il fantasma di un nuovo Afghanistan e un destino (repressivo) da Breznev

Un altro Afghanistan e un altro Breznev

Il fantasma di  un nuovo Afghanistan e un destino (repressivo) da Breznev

Un altro Afghanistan e un altro Breznev. Mark Galeotti, uno dei più profondi conoscitori della politica russa e dei suoi meno limpidi segreti, risponde da par suo all'interrogativo martellante di questi giorni: come andrà a finire la guerra in Ucraina, e quale sarà il destino di Vladimir Putin che l'ha scatenata e ora non è più in grado di uscirne decentemente? Il professore inglese ha dichiarato al Times di avere pochi dubbi: Mosca non riuscirà mai a mettere sotto controllo l'Ucraina anche se vincesse questa guerra, e nella migliore delle ipotesi (dal punto di vista di Putin) si troverà a dover gestire per lunghi anni un nuovo Afghanistan, il Paese che l'allora leader sovietico Leonid Breznev ordinò di invadere nel 1979 e che si trasformò in una trappola sanguinosa per l'Armata Rossa fino al suo ritiro, deciso un decennio più tardi da Mikhail Gorbaciov. A proposito di Breznev: secondo Galeotti, chi spera di veder detronizzare Putin si illude. Il cosiddetto zar non ha rivali all'altezza e, grazie a un sistema di sicurezza maniacale, rimarrà aggrappato al potere fino al giorno della sua morte, trasformandosi anno dopo anno in un nuovo Breznev, l'uomo che divenne mummia ancor da vivo al Cremlino e che rappresentò fisicamente l'involuzione dell'Unione Sovietica in una decadente gerontocrazia. Ordinando l'invasione dell'Ucraina, in realtà, Putin è rimasto vittima della sua stessa propaganda. Credeva di conquistare il Paese in pochi giorni proprio perché convinto che un popolo ucraino non esistesse, invece i suoi soldati se lo sono ritrovato davanti armato e decisissimo a resistergli. Abbiamo visto in questi giorni che Putin è stato costretto a cambiare strategia militare, passando alla solita brutale tattica russa: bombardamenti spietati per preparare il terreno all'avanzata di strapotenti forze di terra. Uscire in piedi dal caos che tutto questo provocherà, tuttavia, è un altro paio di maniche. E chi scrive è d'accordo con Galeotti: nessuna delle vie che Putin può provare a percorrere lo condurrà fuori dal labirinto. La prima che è praticamente una certezza è la continuazione della guerra fino alla resa degli ucraini: ma il compito di controllare il Paese conquistato richiederà non meno di 250mila uomini in armi impegnati magari per un decennio, e si rivelerà con quasi altrettanta certezza impossibile. Putin non potrà contare su collaborazionisti in Ucraina, e lo stillicidio di attentati e soldati caduti causerà profondo disagio in patria. Anche la sua convinzione di poter trattare con l'Occidente da una posizione di forza dopo aver vinto la guerra sostiene Galeotti si rivelerà un'illusione. L'Occidente ha imparato una lezione da questa brutta storia: la Russia di Putin non è un partner affidabile, al massimo come ai tempi dell'Urss si potranno mantenere relazioni commerciali il più possibile limitate mentre si rafforzeranno le comuni capacità difensive. Putin dunque s'impantanerà nel suo Afghanistan, a meno che non si accontenti di dimezzarlo mangiandosi solo la metà orientale dell'Ucraina e la sua costa sul mar Nero il che è improbabile ma non impossibile. Il prezzo di questa guerra d'aggressione (che pagherà il popolo) sarà comunque il disastro economico della Russia, perché le sanzioni continueranno. Ma, insiste il professore londinese, ciò non significherà la caduta di Putin. Per restare al potere, porterà fino in fondo il ritorno agli anni Settanta che è già in atto in Russia: repressione poliziesca sistematica e controllo ossessivo tramite il Kgb/Fsb di ogni tipo di minaccia in un contesto di stagnazione economica irreversibile.

Era la formula di Breznev, e in questo Putin si trasformerà: un vecchio paranoico attaccato alla sua valigetta nucleare fino all'ultimo giorno al Cremlino.

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