Il 70 per cento dei siti sgraditi sarebbe già stato rimosso dal motore di ricerca. Alla fine anche Google capitola di fronte alle richieste di Mosca e acconsente a rispettare la censura di Stato dettata dal Roskomnadzor, l'agenzia governativa per le telecomunicazioni. La notizia arriva dal quotidiano economico russo Vedomosti, a cui un dipendente della multinazionale statunitense ha rivelato l'accordo tra Google e il Cremlino. Il prezzo da pagare per continuare a operare nel Paese.
L'azienda tech era tra i pochi motori di ricerca che avevano sempre rifiutato di rispettare il registro dei siti vietati stilato dal Roskomnadzor. Un elenco che comprende link a contenuti come pornografia infantile e droghe o a materiali ritenuti in grado di istigare al suicidio. Ma che è anche stato accusato più volte di essere uno strumento politico: altrettanto bloccate, infatti, sono le informazioni legate al blogger e dissidente Alexei Navalny, così come è impossibile utilizzare il social network LinkedIn e l'app di messaggistica Telegram. Sotto la lente di Mosca ci sarebbe ora la versione russa dell'emittente Bbc, accusata di non meglio specificate «violazioni». Google finora non si era mai piegata alle richieste dell'authority di eliminare i collegamenti a questi contenuti, e per questo a novembre era stata sanzionata dal governo russo: 500mila rubli - 6.700 euro - che Mountain View aveva deciso di pagare senza contestare.
L'accordo appena siglato prevede che il Roskomnadzor invii quotidianamente una lista aggiornata dei siti censurati a Google, il quale provvederà a eliminare i link che rimandano a quelle pagine. La società per ora non ha commentato, ma un portavoce dell'agenzia del Cremlino ha dichiarato che con l'azienda è stato aperto un «dialogo costruttivo e molto soddisfacente» sul tema del filtraggio dei contenuti. Per Google era questo probabilmente l'unico modo di rimanere in Russia. Un mercato ambito, grazie alle sue dimensioni e potenzialità, ma che la società del gruppo Alphabet non ha ancora del tutto conquistato. La Federazione russa, infatti, è uno dei pochi Stati al mondo in cui la grande «G» non rappresenta il primo motore di ricerca. Il più cliccato è un concorrente «a chilometro zero», il russo Yandex, più abile del collega statunitense nel maneggiare la lingua e le traslitterazioni dall'alfabeto cirillico.
Resta ora da vedere quali saranno le reazioni alla notizia. L'estate scorsa, quando si è saputo che Google stava sviluppando una versione censurata del motore di ricerca per poter tornare sul mercato cinese, da cui mancava dal 2010, si è sollevata una mobilitazione collettiva: da parte degli stessi dipendenti dell'azienda, dal Congresso Usa, dalla società civile.
Una pioggia di critiche che ha convinto l'ad Sundar Pichai ad accantonare il progetto. La vicenda russa è più sottile. Ma ripropone a Google lo stesso dilemma: se non sia un autogol arrivare a contraddire i propri valori pur di allargare ulteriormente la platea di utenti.
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