Il fato crudele e il contadino

Il fato crudele e il contadino

Sono le undici e quarantatré di una mattina qualunque. E davvero non c'è alcun motivo per pensare che quella sia l'ora della tua morte. Non c'è un senso. Non c'è una cabala. Non c'è una ragione. Puoi solo interrogarti se sia caso o necessità, beffa della sorte o destino, una maledetta fatalità o qualcosa di già scritto, da qualcuno che non conosci, indefinito. In entrambi i casi non puoi farci nulla. Non c'è colpa. Non c'è salvezza. La fragile condizione dell'uomo è quella di Giobbe, il Giobbe della Bibbia, il Giobbe che ama il Creatore, ma che può solo sopportare quello che di buono e soprattutto di cattivo gli accade. Se Dio esiste non ti deve spiegazioni, se invece non c'è non si capisce che cavolo ci stai a fare in questo algoritmo che va avanti da sé. Quello che sai è che le tue scelte hanno conseguenze infinite e non le puoi controllare. C'è gente che ogni giorno scommette sulla propria morte e resta in vita. C'è chi si alza di buon mattino a curare la sua terra, a potare i suoi alberi, e gli piove sulla testa un pezzo di treno. La legge della probabilità sa essere parecchio cinica quando ti tira fuori il numero nascosto in fondo al sacco.

Giuseppe Acquaviva è un contadino. Ha 51 anni e un futuro che si sta schiantando su un binario. La ferrovia sfiora il suo campo e di treni ne ha visti passare tanti. Vanno, tornano, qualche volta in orario, spesso in ritardo. Scandiscono il tempo. Ci fai l'abitudine e non li senti nemmeno più. Giuseppe sta fermo, al centro della sua terra, con il sole che tra diciassette minuti sarà al picco, e battezzerà questa giornata assurda tra Andria e Corato. Dicono che sul suo corpo senza vita non ci sono altre ferite. Solo un foro sulla fronte, un pezzo fuggito ad alta velocità da quei due treni accartocciati. Il destino, o il caso, dipende da come lo chiami, o da che parte lo guardi, è un cecchino. Giuseppe quel giorno e in quell'ora, minuto, secondo poteva stare un metro più in là, andare a bere una boccia di acqua, fare il giro al contrario, o scegliere quel ramo d'ulivo che guarda a Nord invece che a Sud. Non sarebbe morto.

Poteva uscire prima o più tardi, sbrigare una faccenda in paese, allacciarsi una scarpa, sentire qualcuno che lo chiamava, cambiare il numero dei passi. Poteva fare tutto questo e ancora una volta non sarebbe morto. Ma nessuno può dirlo con certezza. Non lo sa chi muore. Non ci vuole pensare chi ancora deve morire. Non ci pensava Giuseppe. E non c'è nulla che consola. Meglio lo scrive Haruki Murakami in Kafka sulla spiaggia. «Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l'andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra con il dio della morte prima dell'alba.

Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l'unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica