Siete cittadini come tutti gli altri, anche se di mestiere fate i magistrati: e ridurre un po' delle vostre interminabili ferie non è un attentato alla vostra indipendenza ma solo un rimedio ad un privilegio anacronistico. Questo dice il Consiglio di Stato ai giudici che si ribellarono a una delle poche riforme andate in porto del governo Renzi, la norma che riduceva da quarantacinque a trenta giorni le vacanze delle toghe. La popolarità del segretario del Pd nelle Procure e nei tribunali, già non altissima, crollò verticalmente. E insieme alle proteste per la dignità ferita partirono i ricorsi, che accusavano la sforbiciata persino di avere violato la Costituzione. Ci sono voluti tre anni, ma alla fine il Consiglio di Stato si è pronunciato, bocciando su tutta la linea i ricorsi dei magistrati. E sono le motivazioni della sentenza a costituire un brusco richiamo alla realtà per gli uomini della legge.
A presentare il ricorso-pilota erano stati sei giudici del tribunale di Roma (erano sette, ma una dopo averci pensato meglio si è tirata indietro. Oltre che con la legge di Renzi, e col presidente del tribunale di Roma che l'aveva applicata, se la pigliavano anche con il Consiglio superiore della magistratura, colpevole di non essersi opposto a sufficienza all'applicazione della riforma Renzi. Nel ricorso contestavano lo strumento del decreto legge utilizzato da Renzi, sostenendo che non c'era nessuna urgenza da fronteggiare; e affermavano senza mezzi termini che, in sostanza, ci sono giudici di serie A e di serie B: da una parte i giudici amministrativi, o quelli distaccati presso le altre amministrazioni, o quelli avvocatura dello Stato, cui il taglio delle vacanze si poteva applicare: e poi loro, i giudici veri e propri, esonerati dal sacrificio in nome della loro «specialità», perché «la Costituzione colloca in una posizione diversa, di maggiore riguardo, i magistrati ordinari, cui è affidata la tutela dei valori più alti dell'Ordinamento».
Entrambe le argomentazioni sono state bocciate come «manifestamente infondate» dal Consiglio di Stato. La prima, in base alla banale constatazione che è impossibile negare che ci fosse la necessità di intervenire con urgenza per accelerare i tempi geologici della giustizia e smaltire gli arretrati, soprattutto nel campo civile: a quello serviva il decreto, e a quello serviva il taglio delle ferie. E la sentenza maltratta soprattutto il secondo argomento, quello sulla presunta superiorità dei giudici «veri» sui loro colleghi: «anche ad ammettere in astratto che nella lettera delle disposizioni costituzionali possono apparire più stringenti le guarentigie di indipendenza e autonomia della magistratura ordinaria, si tratta di un profilo in realtà ormai del tutto anacronistico»; e che, aggiunge il Consiglio di Stato, «manifestamente non assume alcun rilievo ai fini delle ferie».
Un magistrato resta autonomo anche se non sta due mesi al mare, insomma. «Il diritto alle ferie annuali retribuite è un diritto funzionale che vale per ogni magistrato come del resto per qualsiasi altro lavoratore, sicché è priva di giuridico fondamento l'accezione sostanzialmente privilegiaria da cui muove l'argomentazione», si legge nella sentenza.
Unica consolazione: il Csm dovrà obbligare i capi dei tribunali a non fissare udienze a ridosso delle
ferie, per dare il tempo ai giudici di scrivere le motivazioni delle sentenze già emesse. In realtà è una circolare che il Csm aveva già emanato appena dopo il varo del decreto Renzi: ma agli irriducibili non era bastato.
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