Di fronte all'ipotesi Fico in molti hanno già cominciato a ironizzare: «Dopo la parabola di Fini, magari stavolta la carica di presidente della Camera porterà più fortuna». E sì perché la possibilità di vedere il grillino Roberto Fico a Palazzo Chigi sembra più di una suggestione. Superato, al momento, lo scenario che avrebbe visto un bis del premier dimissionario Giuseppe Conte, nei contatti telefonici tra i leader e i pontieri di M5s e Pd è spuntato, di nuovo, il nome della terza carica dello Stato. Con un paradosso: la soluzione incarnata dal capo dei pentastellati «ortodossi» sarebbe più gradita ai dem e a Leu che non agli esponenti di vertice del suo stesso partito. A tirarla fuori sarebbero stati infatti gli sherpa del Pd (Dario Franceschini è in contatto con il grillino Vincenzo Spadafora) proprio per disinnescare il pressing del M5s su un reincarico a Conte, l'avvocato del popolo ringalluzzito dalla performance nell'aula del Senato nel giorno delle dimissioni. I Cinque stelle avevano prospettato una formazione con l'ormai ex premier di nuovo a capo del governo e il leader Luigi Di Maio riconfermato in un ministero. Ed è questo il punto decisivo su cui potrebbe incagliarsi la trattativa, nonostante le timide aperture ai cinque punti di Nicola Zingaretti fatte filtrare dal Movimento. Di nuovo i destini dell'Italia si stanno legando pericolosamente agli equilibri interni, da tempo fragili, del partito fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
Un ipotetico governo Fico, con il capo politico senza incarichi di prestigio, renderebbe evidente il ribaltone che, seppure sottotraccia, si sta verificando nel M5s a partire dall'apertura della crisi innescata da Salvini. Se si arrivasse a raggiungere l'obiettivo, ragionano i grillini favorevoli all'accordo con il Pd, tra i quali molti vicini al Presidente della Camera, verrebbe premiata la strategia tenuta da Fico durante tutti i 14 mesi segnati dal governo gialloverde. Una tattica che si è snodata attraverso un puntuale controcanto ad alcune mosse di Salvini, soprattutto sul cavallo di battaglia leghista dell'immigrazione. Ma la fronda è stata legittimata dalla posizione istituzionale ricoperta dallo stesso Fico che, al contempo, ha saputo mantenere costante il filo diretto con il Garante Beppe Grillo. In questa direzione va l'ammorbidimento delle posizioni di coloro che erano stati espulsi dal M5s in polemica con le scelte del gruppo parlamentare e di Di Maio. Anche se la senatrice Paola Nugnes, amica del Presidente della Camera, si è affrettata a smentire le voci di un suo ritorno alla base stellata in caso di raggiungimento di un accordo con i dem. Certo è che i toni sono cambiati. E ciò che prima all'interno del Movimento era maggioranza rischia di diventare improvvisamente minoranza. Per questo motivo, Di Maio sta lavorando a un suo ingresso nel nuovo possibile esecutivo giallorosso, lasciando contemporaneamente aperta una porticina al ritorno immediato alle urne.
Intanto ieri Fico è salito al Quirinale, come terza carica dello Stato, per il primo round di consultazioni. Una prova generale, se si concretizzasse l'ipotesi di un mandato esplorativo affidato da Sergio Mattarella al Presidente della Camera per verificare la possibilità di costruire una maggioranza tra il M5s, il Pd e Leu.
Tentativo già fatto da Fico all'indomani delle elezioni politiche del 4 marzo 2018 e naufragato dopo il no di Matteo Renzi. Ma per stoppare le spinte centrifughe, ieri il M5s ha diffuso una nota dei capigruppo Francesco D'Uva e Stefano Patuanelli: «il Movimento è unito e compatto intorno al capo politico».
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