Per un alpino il proprio cappello con la penna non è un copri-capo, ma un copri-anima: più che a proteggere la testa dai rigori del freddo, serve a proteggere il cuore dai rigori della nostalgia; epico pezzo di tessuto verdone con la falda a punta, che pare il naso di Pinocchio, da cui un alpino non si separerebbe mai.
A meno che... A meno che, quel cappello, non glielo freghino e venga smarrito per distrazione; e nella recente tre giorni milanese (dal 10 al 12 maggio) i 500mila alpini arrivati sotto la Madonnina per la loro tradizionale da adunata, di distrazioni ne hanno avute tante. Dall'adrenalina da sfilata, all'allegria da tavolata enogastronomica; dalla soddisfazione di essere esaltati dalla folla, all'amarcod danzante sul filo di storici ricordi. Può quindi succedere che, tra un bicchiere mezzo pieno di gloria e uno mezzo pieno di vino e/o grappa, l'eroico cappello finisca per essere dimenticato o rubato nei posti più disparati: da quelli più epici (Piazza del Cannone, Castello Sforzesco, Piazza Duomo) a quelli - diciamo così - più profani (i bagni della Stazione Centrale, il sedile del pullman, lo scompartimento del treno).
Ma a dimostrazione che gli alpini non si scoraggiano davanti a nulla (neppure dinanzi a propri vuoti di memoria o ai manolesta borseggiatori di feltri pennuti), ecco nascere il gruppo Facebook «Cappelli persi e trovati».
«Sono stati tanti i cappelli Alpini dimenticati o trafugati che non sono tornati a casa dall'Adunata di Milano in testa ai legittimi proprietari», fa sapere l'Associazione nazionale alpini (Ana) di Milano.
Immediata, la controffensiva alpina sulle impervie montagne dei social: nella pagina Adunata Nazionale Alpini è stato aperto un gruppo pubblico dove inserire appelli e segnalazioni riguardanti i cappelli che sono stati persi o sgraffignati. «Forza sprona l'Ana -, che qualcuno ha già rintracciato il proprio fedele compagno!».
Toccante il post di Letizia, la figlia di un alpino rimasto organo del suo berretto: «Per papà quel cappello è una delle cose più care al mondo, sta soffrendo tantissimo. Vi prego, aiutatemi a ritrovarlo. Io e mio padre ve ne saremo frati immensamente». «La penna nera è un simbolo di appartenenza che riflette l'essenza stessa di noi alpini», messaggia uno dei veci che, tutto preso a impugnare uno stendardo con la destra e uno zaino con la sinistra, ha finito col perdere d'occhio il cappello che aveva poggiato sulla panca dove si era seduto per riposarsi dopo chilometri di marcia forzata.
Su Facebook la bacheca dei cappelli desaparecidos è piena di foto. Scrive Barbara: «Questo è quello del mio papà Valentino sottratto indebitamente all'interno dell'ospedale da campo alle 16.45 di sabato 11 maggio. Il dolore che ho è enorme, chi me lo ha portato via mi ha privato del il ricordo più prezioso del mio papà».
Accorato l'appello di Giancarlo: «Sono alla ricerca del mio cappello Alpino, dimenticato domenica alle 14,20 sul treno alla stazione di Bollate. Oltre alla nappina bianca e lo stemma del battaglione Gemona, sull'altro lato ha lo stemma della Julia, l'ho sempre indossato fin dal primo giorno del servizio militare». Risponde un membro di Amici della Carnia fanpage: «Trovato cappello Alpino vicino al fiume Adige, si cerca proprietario». Che sia quello di Giancarlo?
Melodrammatica la testimonianza di Simone: «Sapete il valore del suo cappello per l'alpino. È il mio sudore che l'ha bagnato e le lacrime che gli occhi piangevano e tu dicevi nebbia schifa...».
Il sottotenente medico Italo Serri del romanzo Centomila gavette di ghiaccio non avrebbe saputo scrivere meglio.Il «vecio alpin» su Facebook è decisamente kletterario: «Rubare i cappelli dei veterami è da infami, peste li colga!».
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