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La fila dei 761 italiani pronti alla "dolce morte". Ma i medici si dividono

I dati dell'associazione Luca Coscioni. I dubbi dell'Ordine: la deontologia prevale sulla Consulta

La fila dei 761 italiani pronti alla "dolce morte". Ma i medici si dividono

«Quando non sarò più in grado di camminare, di muovermi, di parlare se decidessi che non voglio più andare avanti che cosa accadrà? Chi sceglierà per me?» Sono tanti i cittadini italiani che, all'inizio di una malattia neurodegenerativa, si sono rivolti all'Associazione Luca Coscioni, impegnata da anni sul fronte del riconoscimento del diritto di scelta rispetto al fine vita. Vogliono capire, avere informazioni sulla possibilità di accedere al suicidio assistito nel caso in cui nel loro futuro dovessero non essere più autosufficienti. Matteo Mainardi coordinatore della campagna Eutanasia legale racconta che l'anno di svolta è stato il 2015, quando Marco Cappato insieme Mina Welby (moglie di Piergiorgio ammalato di distrofia muscolare scomparso nel 2006, quando chiese di essere scollegato dalla macchina che gli consentiva di respirare) annunciarono la disobbedienza civile.

«Da allora in questi anni sono salite a 761 le persone che ci hanno chiesto informazioni in forma non anonima», racconta Mainardi. Centinaia di persone che hanno dato il loro nome e cognome perché vogliono sapere se saranno liberi di scegliere come morire quando il loro corpo non risponderà più alla loro volontà. Migliaia quelli che hanno chiesto informazioni in forma anonima. A nessuno fra loro è stato offerto supporto per accedere al suicidio assistito: solo informazioni. I casi che hanno avuto il sostegno dell'associazione sono pubblici come quello che ha visto protagonista Dj Fabo, Fabiano Antoniani. Il caso che è servito come leva per arrivare alla sentenza della Corte Costituzionale. E ieri la Consulta ha corretto con una nota ufficiale un refuso contenuto nel comunicato. Correzione che in effetti allarga le maglie entro le quali è possibile ricorrere al suicidio assistito visto che nella frase «fonte di sofferenze fisiche e psicologiche» la «e» è sostituita con una «o». Dunque basterebbero le sofferenze psicologiche per entrare nel percorso del suicidio assistito da sommare a tutti gli altri requisiti come l'esistenza di «una patologia irreversibile».

Filomena Gallo, segretario dell'Associazione Luca Coscioni nel sottolineare la portata storica della sentenza evidenzia come ora sia più che mai necessaria una legge . «Il reato resta - assicura la Gallo - Ma viene escluso in determinate condizioni. Il Parlamento fino ad ora si è dimostrato incapace di rispondere alle esigenze dei cittadini ma con questa sentenza ci sarà più libertà per tutti».

La decisione della Consulta da un lato ed il vuoto normativo dall'altro però suscitano grandi perplessità tra i medici. Filippo Anelli, presidente dell'Ordine dei medici avverte: «Ad avviare formalmente la procedura del suicidio assistito, essendone un responsabile, sia un pubblico ufficiale rappresentante dello Stato e non un medico». E per Antonio Magi, presidente dell'Ordine dei medici di Roma, non cambia nulla. «Per noi conta il codice deontologico che fra i primi articoli indica il nostro dovere principale, la tutela della vita.

Quindi non ci atterremo alla sentenza della Corte», assicura Magi.

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