Roma - Gli spacciatori sono già nel mirino del Fisco, i lenoni, pertanto, possono considerarsi «avvisati». Anche coloro che esercitano un'attività illegale e criminosa possono essere chiamati a pagare le imposte non versate. Ieri, infatti, è stato creato un precedente che potrebbe stravolgere l'amministrazione delle entrate.
La compagnia della Guardia di finanza di Gela, in provincia di Caltanissetta, ha contestato a due spacciatori rinviati a giudizio (uno dei quali ha optato per il rito abbreviato) l'evasione di circa 20mila euro di tasse, principalmente Irpef e Iva. Si tratta delle risultanze investigative di un'operazione di polizia denominata «Samarcanda» che nel giugno 2016 portò all'arresto di due locali trafficanti di droga che acquistavano gli stupefacenti, principalmente cocaina, a Platì, in provincia di Reggio Calabria, per poi smerciarla in Sicilia. Successivamente la Guardia di finanza di Gela ha avviato una serie di controlli per quantificare e tassare i proventi generati dallo spaccio.
Sulla base delle indagini eseguite e degli incroci con i dati acquisiti dalle altre forze di polizia, i finanzieri di Gela hanno così concluso due controlli di carattere fiscale nei confronti del capo della banda e di uno dei favoreggiatori, per tassare per l'anno d'imposta 2015, i proventi delle attività illecite. I due spacciatori, secondo quanto ricostruito dai finanzieri, con il traffico illegale di droga avevano realizzato grossi guadagni e mantenuto un tenore di vita elevato (auto di lusso e immobili di pregio) di certo non proporzionato a quanto dichiarato al fisco. Sebbene i redditi dichiarati fossero pari a zero, essi avrebbero ottenuto in realtà proventi per oltre 50mila euro. Le Fiamme gialle si sono basate sull'articolo 53 della Costituzione che specifica come «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva».
È chiaro che ove mai l'Agenzia delle Entrate iscrivesse al ruolo l'atto di verifica della Guardia di finanza, potrebbe cambiare tutto il regime della fiscalità che gravita attorno ai procedimenti penali per reati connessi al traffico di stupefacenti, al contrabbando di sigarette e allo sfruttamento della prostituzione. Le analisi Istat sull'economia sommersa hanno evidenziato che queste attività hanno generato nel 2015 valore aggiunto per circa 17 miliardi (11,8 miliardi la droga e 3,6 miliardi la prostituzione) impattando per 19 miliardi sui consumi delle famiglie. È chiaro che se si applicasse l'Iva al 22% lo Stato recupererebbe ben 4 miliardi.
«Il calcolo parte su
alcune accuse ancora non certificate da un processo. E poi, così facendo, si dà una sorta di legittimità a questi redditi», ha dichiarato l'avvocato di uno dei due imputati a Repubblica.it. Ma in tempi di crisi vale tutto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.