Politica

Finanziaria a rischio Ora Renzi scopre il «vento contrario»

Il tonfo della Borsa cinese, di Wall Street, delle Borse europee e della nostra, con cali del 7-8%, segnalano una burrasca finanziaria di dimensioni simili a quella che ebbe luogo nei mercati internazionali, quando, in piena crisi, il governo americano e la Fed nel settembre del 2008 decisero di non salvare Lehman and Brothers.

Ciò che ora accade sconvolge completamente lo scenario del nostro governo, rispetto a quello che ancora risultava, il giorno prima di Ferragosto, quando Renzi pensava a una legge Finanziaria, con margini di flessibilità di 0,3-0,4 punti percentuali, rispetto (...)

(...) al traguardo di riduzione del deficit di bilancio al 2% del Pil, stabilito in sede europea per il 2016. Il governo voleva fare 5-6 miliardi di deficit in più per attuare ribassi tributari, in particolare sulla prima casa, onde generare una piccola onda di ottimismo nell'edilizia e - soprattutto - una maggior simpatia da parte del ceto medio.

C'erano, nell'agenda, anche altri sgravi fiscali, come il rinnovo dell'esonero contributivo per i nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato del Jobs Act. Ciò insieme alla richiesta di abbassamento dell'età di pensionamento, in cambio di riduzioni della pensione, il che comporta un aggravio finanziario per l'Inps, da compensare in altro modo. Renzi si era concesso alcuni giorni di riposo, prima di far risuonare il nuovo messaggio dal suo flauto magico, un po' stanco.

Adesso questi sogni di mezza estate sono andati in fumo, insieme ai miliardi di dollari, di yuan e di euro, persi nelle Borse mondiali. Dal roseo di una ripresa un po' timida da rinvigorire, siamo passati ad una burrasca, in cui è molto difficile navigare, quando - come l'attuale governo - si è impreparati.

Il ministero delle cicale scopre che il bel tempo è finito. Deve riporre i suoi sogni nel cassetto, ma non ha le chiavi per aprire il cassetto della sopravvivenza, di cui sino ad ora non si è preoccupato. Ora non ci si può permettere di superare il deficit al 2% del Pil perché urge evitare un nuovo rialzo del nostro debito Pil, che negli ultimi anni è salito, portandosi, nel 2015, oltre 133%. Adesso il Pil del 2015 potrebbe aumentare solo dell'1% in termini monetari, con un aumento in termini reali pari o inferiore al 0,4%.

Ed i mercati internazionali sono diventati irrazionalmente avversi al rischio. Così lo spread sui titoli del debito pubblico italiano è salito, nonostante la perdita di credibilità della Borsa cinese, per cui c'è il calo degli investimenti in yuan e il crollo dei rendimenti azionari nell'eurozona e a Wall Street, che dovrebbero rendere più appetibile il reddito fisso.

Il peggioramento dello spread del nostro debito è, per ora, modesto. Ma è un segnale di inversione di rotta, che l'Italia deve prendere sul serio. Il redde rationem rispetto a una politica finanziaria spensierata e spericolata è venuto molto prima del previsto. Ciò ripercuote una pesante ombra negativa sulla capacità del Pd di generare una nuova classe politica capace di capire quali sono le regole dell'economia di mercato, sugli operatori industriali e finanziari che hanno dato credito a questa classe di pseudo riformisti e sugli intellettuali che li hanno avallati. Non c'è nessuna soddisfazione nel rilevare la serie di errori fatti dal precedente presidente della Repubblica e dal kombinat di politici e intellettuali di sinistra post catto-comunista pseudo liberaleggianti e di business economico-finanziario che nel 2011 hanno fatto cadere il governo Berlusconi: che aveva un rapporto deficit-Pil inferiore al 120% e un problema di aggiustamento dei conti pubblici di 0,4 punti di Pil rispetto al traguardo del 3% che allora è quello ottimale.

La situazione ora si ripete, in condizioni peggiori, dopo tre anni e mezzo sprecati. Dobbiamo tagliare il deficit molto di più, perché abbiamo 15 punti di rapporto debito/Pil in più.

Si spera che il governo, adesso, la smetta di fare sogni, riponga le sue ambizioni di sconvolgenti riforme istituzionali, metta i piedi per terra, faccia - come dice Feltri - i conti della serva, per non fare la fine della Grecia. La tempesta passerà. Si tratta di un processo di aggiustamento.

Ma non fa sconti.

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