Roma - «Grillo? Alla fine si spartirà con Berlusconi l'Italia vera, quella della borghesia senza salotti». Così disse il tele-Buttafuoco. E lo scandì dalla sua video rubrica su La7 (nel Faccia a faccia condotto da Giovanni Minoli) registrando il ritorno di fiamma del centrodestra unito e prevedendo la fiammata grillina registrata ieri. Gliene chiediamo conto.
Pietrangelo Buttafuoco, ma da dove arrivano tutti questi voti per Grillo?
«È la scucitura nello storytelling renziano da cui si affaccia la realtà dell'Italia vera. La realtà che nel lavoro di cronisti spesso non catturiamo, se non quando arrivano i referendum, la Brexit e i Trump».
Com'è quest'Italia vera?
«C'era una volta la maggioranza silenziosa. È il Paese che ha Padre Pio e Totò nei quadri appesi alle pareti, quella delle passerelle la domenica, che si commuove con le canzoni, quella del popolo che non ha mai avuto rappresentanza, né culturale né politica. La stessa che si fa beffe dei rituali obbligatori amati dall'establishment».
Ed è questa Italia il motore grillino?
«Ora è una realtà in fase di cottura, quella di una borghesia che nella sua essenza non è di sinistra, che anzi ha visto rispecchiata la sua essenza nel berlusconismo e ora si rispecchia in parte anche nel grillismo».
Un'Italia borghese che la sinistra disprezza.
«Renzi quando ha perso il referendum, invece di cercare di capire questa Italia, è andato a studiare la California, cioè l'unico luogo dove hanno vinto i Clinton».
Anche Berlusconi ha avuto simpatia per Renzi.
«A un certo punto ci ha pensato ad affidarsi a lui. Ma da bravo commerciante ha capito la difficoltà di farlo digerire alla gente. Renzi è il riferimento di una sinistra delle brioche di Maria Antonietta che rappresenta solo l'establishment, un ceto medio riflessivo con vitalizio che invece che con gli operai sta con i fondi sovrani».
Ma perché la borghesia italiana è così attratta da un movimento populista?
«Berlusconi lo ha spiegato: più ci si impoverisce, più il ceto medio si proletarizza, più aumentano i voti dei Cinque Stelle. La nostra borghesia vive l'antica maledizione di essere conservatrice in un Paese in cui non c'è più nulla da conservare».
E nel populismo la borghesia vede una soluzione?
«Il populismo è quel che era il giustizialismo all'epoca di Tangentopoli. Il nostro giudizio è anche falsato dalla rappresentazione che se ne dà nella vetrina mediatica. Il fatto è che in questa vetrina abbiamo assistito per settimane al dibattito lunare sui problemi del congresso Pd, che non interessano a 8 italiani su 10. La borghesia vuole che si parli di ciò che conta davvero. Renzi non lo sa fare. A Berlusconi è bastato andare al McDonald's per ottenere l'effetto popolare e populista. In più lui neutralizza i nostri Le Pen, come Meloni, o Wilders, come Salvini. Loro sanno che senza di lui non si canta messa».
Specificità tutta italiana.
«Sì. E impedisce all'establishment di usare contro Grillo i soliti slogan per dipingerlo come il bau bau. Ma lui non è né Wilders né Le Pen e il gioco non funziona, non spaventa. Al momento di votare, un sofferto editoriale su Repubblica, Corriere o Stampa che provasse a lanciargli contro un esorcismo avrebbe lo stesso effetto di un leggero sfiato dal corpo fuggito».
Fanno più paura i tanti limiti del movimento.
«Certo. Come al centrodestra in passato, gli manca una certa capacità di governo. Il vero errore l'M5S lo ha commesso tentando di governare Roma anziché portare i libri in tribunale come è stato fatto a Detroit. E poi quanti slogan sbagliati: la parola cittadino fa terrore, così come evocare Rousseau. Per fortuna Grillo ha già archiviato uno vale uno».
Ma chi è davvero Grillo?
«Lui ora è lo spaventevole Pappagone che realizza la profezia di Lenin: mette a punto un programma di governo così perfetto da poterlo affidare anche a una cuoca. O perfino a Di Maio».
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