Roma - È un po' come il tenente Drogo del Deserto dei tartari di Buzzati. Asserragliato nella Fortezza Bastiani, che in questo caso è Palazzo Montecitorio, il presidente della Camera, Roberto Fico, sbuffa, scalpita, si dimena e si prepara a resistere al barbarico attacco leghista, ma poi non succede nulla e tutto resta com'è. A qualche commentatore è persino venuto il sospetto che tutto questo atteggiarsi faccia parte della costruzione di un personaggio, una statuina di San Gregorio Armeno (visto che il nostro è napoletano) da piazzare nel variopinto presepe pentastellato. Insomma, un «Signor No» pronto a scuotere la testa, ad alzare il sopracciglio e a ritirarsi in buon ordine una volta finito il teatrino.
È quello che accade puntualmente da quando ricopre l'incarico di terza carica dello Stato. Ad esempio, il 23 maggio 2018 non passarono inosservate le sue mani in tasca durante l'esecuzione dell'Inno di Mameli nel corso della celebrazione della strage di Capaci. Uno sgarbo istituzionale, un modo per prendere le distanze dalla marzialità dell'occasione, un po' come accaduto ieri. Niente più che una birba innocente. Un po' più di rumore l'ha suscitato la sceneggiata sul decreto Sicurezza. «Non ho partecipato alla votazione finale per prendere le distanze, nel provvedimento c'erano tante cose che non avrei voluto leggere», dichiarò aggiungendo di nutrire «seri dubbi perché non fornisce risposte ampie culturali e sociali a questioni complesse come la sicurezza e la gestione dell'immigrazione». Una ventina di deputati a lui vicini risultò assente ingiustificata, ma è talmente forte la maggioranza gialloverde alla Camera che nessuno se ne accorse tranne Salvini. Stessa solfa sulla necessità per l'Italia di aderire al Global Compact Onu sui migranti, trattato che l'Italia ha messo in stand by. Lo schema è sempre lo stesso: Salvini propone, Di Maio accetta, Fico alza il ditino per compiacere la base dura e pura dei grillini che sgradisce la svolta securitaria accettata da Di Maio.
Medesimo l'andamento qualche settimana fa durante la votazione finale del ddl sulla legittima difesa. Con una differenza: le defezioni a Montecitorio arrivarono a quota 25, ma anche in questo caso c'era il «trucco»: l'appoggio esterno di Fi e Fdi alla maggioranza su un tema caro al centrodestra avrebbe garantito comunque l'approvazione. Anzi, quella volta le stilettate a Salvini ebbero meno impatto del solito in quanto si sversarono nel calderone degli attacchi quotidiani alla Lega che M5s iniziò a dispensare. Ben diversa la polemica sulla sparatoria nel centro di Napoli che coinvolse una bambina di quattro anni. «Governo e Parlamento devono agire subito con un cambio di passo effettivo, a partire dal ministro dell'Interno», tuonò Fico. Tutto è rimasto com'è.
A volte sembra che gli unici a dargli retta siano i dem speranzosi in un accordo con M5s in difesa dei beni comuni. Altre, invece, sono gli animatori dei meetup della prima ora a sperare in una palingenesi grillina. Fico li solletica entrambi e poi resta fermo. Come il tenente Drogo.
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