Dal fisco equo agli immigrati Così ha vinto il centrodestra

La coalizione ha parlato il linguaggio della normalità. E ha scelto candidati che hanno rassicurato gli elettori

Dal fisco equo agli immigrati Così ha vinto il centrodestra

Considerato alla stregua di un relitto del passato dai grandi commentatori, liquidato per mesi come lo spettatore annunciato del grande duello tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, condannato alla marginalità con fretta eccessiva, il centrodestra si riprende la scena, diventa l'attore principale, domina le Amministrative, conferma di essere pienamente in partita e di partire in pole-position in vista delle prossime elezioni politiche.

Il giorno dopo il voto si moltiplicano le analisi che provano a scandagliare le ragioni di una vittoria tanto sorprendente quanto inattesa. Una vittoria, in realtà, che ha origini lontane. Innanzitutto i rapporti interni alla coalizione. A parte alcune eccezioni la trattativa tra Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia sulla selezione dei candidati si è sviluppata in maniera molto serena. Anche nei momenti delle discussioni più accese tra i leader e delle stoccate di Matteo Salvini a Silvio Berlusconi, il lavoro degli sherpa al tavolo delle Amministrative (Altero Matteoli, Paolo Romani, Gregorio Fontana, Giancarlo Giorgetti, Ignazio La Russa) si è sviluppato in maniera civile, ragionata e proficua. Si è lavorato sull'unità, sulla chiarezza, sulla ricerca di buoni candidati, sul radicamento sul territorio, su un patto d'onore tra impegno politico e impegno civico. Alla fine sono state selezionate personalità «normali», in grado di comprendere i problemi della gente, figure di buonsenso e «populiste» nell'accezione di vicinanza al popolo, capaci di prospettare una progettualità per il proprio territorio.

Questo filo conduttore è stato seguito sempre o quasi. Gli stessi candidati della Lega avevano profili più «maroniani» che «salviniani». E la maggior parte degli uomini schierati nei capoluoghi si attestavano su tratti moderati-liberali, come ad esempio Marco Bucci - un manager di esperienza internazionale - a Genova o Pierluigi Peracchini, sindacalista della Cisl, a La Spezia.

Questa trazione moderata dei candidati non ha fatto venir meno la chiarezza e la fermezza su questioni fondamentali come l' immigrazione e la sicurezza, evidenti punti deboli per il Pd e il Movimento 5 Stelle, coniugandosi con una proposta fiscale coerente con la storia dei governi Berlusconi. Insomma la domanda di centrodestra che esiste nel Paese questa volta ha potuto contare su candidature in grado di rassicurare e fare identificare l'elettorato.

Un meccanismo virtuoso che, una volta innescato, ha avuto un effetto a cascata facendo risalire l'orgoglio di una classe dirigente che dopo la traversata del deserto si è tolta qualche soddisfazione, buttandosi a capofitto in queste sfide. A tutto questo va naturalmente aggiunto il lavoro dei leader. Impossibile dire quanto possa avere inciso in termini percentuali la mobilitazione a ridosso del ballottaggio di Silvio Berlusconi, ma di sicuro ha regalato identità e leadership a una coalizione apparentemente più forte a livello locale che nazionale. Così come la presenza continua sul territorio di Matteo Salvini e Giorgia Meloni è stata ovviamente un fattore.

Ma soprattutto ha inciso la capacità di saper parlare il linguaggio della normalità, al riparo dalle parole d'ordine dei salotti buoni della sinistra, dai radical chic, dai tweet di Renzi, dalle marce per l'immigrazione, dalle proposte per rendere ancora veloce quello ius soli che in Italia già c'è dal 1992. Una scossa che evidentemente è stata percepita dal Paese reale, alla disperata ricerca di interlocutori credibili.

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