Fisco, giustizia, sanità. Le riforme del Recovery valgono 221 miliardi

Via libera in due fasi, oggi il primo esame. Nel 2026 Pil a +3%. Sì delle Camere al Def

Fisco, giustizia, sanità. Le riforme del Recovery valgono 221 miliardi

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è in dirittura d'arrivo, ma prima dell'invio a Bruxelles servirà un doppio passaggio. Oggi il Consiglio dei ministri esaminerà preliminarmente il Recovery Plan targato Mario Draghi. Il premier lo presenterà alle Camere lunedì e martedì prossimi e, infine, un'altra riunione dell'esecutivo approverà definitivamente il testo da inviare alla Commissione Ue.

Il Pnrr vale oltre 221 miliardi di euro dei quali 191,5 miliardi provenienti da risorse a fondo perduto e prestiti di Next Generation Eu. Altri 30 miliardi saranno garantiti dal Fondo complementare da 30 miliardi di euro che l'ultimo scostamento di bilancio da 40 miliardi ha iniziato a finanziare con i primi cinque miliardi. A tal proposito ieri Camera e Senato hanno dato l'ok alle risoluzioni di maggioranza al Def imperniato sul nuovo deficit.

Gli stanziamenti del Recovery Plan sono destinati a sei macroaree e risultano lievemente inferiori rispetto a quelli delineati a gennaio a causa del ricalcolo dell'ammontare in sede Ue. Il peso di ciascuna posta è invariato. Per la digitalizzazione sono previsti 42,5 miliardi, per la transizione ecologica 57 miliardi, mentre alle infrastrutture andranno 25,3 miliardi, all'istruzione e alla ricerca 31,9 miliardi. All'inclusione e coesione 19,1 miliardi e per la salute 15,6 miliardi (altri 2,89 miliardi proverranno dal Fondo complementare).

Secondo le stime del governo, queste risorse consentiranno nel 2022-2026 una crescita media del Pil di 1,4 punti percentuali più alta rispetto al quinquennio 2015-2019 con un impatto di tre punti percentuali rispetto allo scenario di base al 2026. Anche queste sono previsioni non troppo dissimili da quelle effettuate dal tandem Conte-Gualtieri. E che dunque impongono una necessaria riflessione su come attuare velocemente il piano di riforme collegato allo sfruttamento dei fondi di Next Generation Eu. Il governo Draghi si è dato due obiettivi prioritari. Il primo è il cambiamento nella Pa (digitalizzazione, snellimento delle procedure, semplificazioni). Il secondo programma riguarda la giustizia, anche in questo caso per accelerarne i tempi di smaltimento delle pratiche. A contorno ci sono altre aree di intervento come il fisco e la concorrenza. È chiaro che dalla capacità di assicurare la realizzazione di queste trasformazioni dipenderà non solo l'erogazione dei fondi Ue, ma soprattutto la capacità di far tornare il Paese a prospettive di crescita economica durature. A fronte di disponibilità pari al 13% circa del Pil, infatti, lo sviluppo del prodotto interno lordo pare quanto meno «prudente». Ecco perché occorrerà premere l'acceleratore sul versante privato degli investimenti rendendoli più facili.

Nei prossimi giorni il governo dovrà sciogliere alcuni nodi. Il primo è quella della governance del Pnrr, che resta intestata a palazzo Chigi con un ruolo primario per il ministro dell'economia, Daniele Franco (nel tondo). Il secondo è quello del superbonus al 110%.

Il Fondo complementare copre solo 8,25 miliardi (di fatto togliendo 5 miliardi al cashback) limitando il beneficio al 2022.

Polemica Confindustria secondo cui la mancata proroga «sarebbe un gravissimo errore perché danneggerebbe il settore delle costruzioni, che è volano dell'economia».

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