Guerra in Ucraina

Il flop di Biden, lo Zar allunga le mani

La visita a Teheran per consolidare un legame. Col rischio atomica

Il flop di Biden, lo Zar allunga le mani

Ci sono pochi dubbi che la visita di Putin a Teheran per incontrare Ebrahim Raisi e Recep Tayyp Erdogan sia un modo di guardare minacciosamente negli occhi Joe Biden subito dopo il tour in Mediorente, a Gerusalemme e a Gedda. Gioco frontale, con l'intenzione di aprire un largo confronto geopolitico che si somma a quello fatale del faccia a faccia Russia-Occidente liberale. È solo la seconda volta che Putin lascia i suoi confini dall'inizio della guerra. Da questo, si capisce che importanza dia al potere in Medioriente dopo l'isolamento e le sanzioni. Non ha futuro in Occidente, cerca spazio altrove, forza energia, territorio, controllo sul mondo islamico, apertura geografica verso il Sud globale. Grande strategia, nuova storia che gli americani cercano di fronteggiare in difesa: può portare a scontri immensi, ben oltre la capacità politica e perfino l'immaginazione dei leader occidentali attuali.

Lo si è visto adesso dalla maniera fragile e sostanzialmente inerte, nonostante lo sforzo, con cui Biden ha pilotato i suoi incontri a Gerusalemme e a Gedda. Ha detto: «Siamo in Medio Oriente e non abbiamo nessuna intenzione di andarcene». Ma non ha convinto. I due scopi del viaggio erano il petrolio saudita e un'apertura strategica del maggiore Paese mediorientale, ampia, sancita chiaramente con un'adesione ai Patti di Abramo, e non sotto il tavolo. Ma l'Arabia Saudita, non si è sentita rassicurata né liberata pubblicamente dal disprezzo di Biden per il principe Muhammed Bin Salman; non si è sentita dire, come del resto nemmeno Israele, che il nemico iraniano adesso deve temere un'alleanza d'acciaio, pronta ad agire con le armi in pugno e non con chiacchiere diplomatiche, alla prospettiva ormai immediata dell'arma atomica degli ayatollah. Biden, un gentiluomo pieno di buona volontà e di affetto, ha fallito la regola fondamentale della cultura mediorientale: qui, chi si mostra debole non ottiene rispetto, né obbedienza, né alleanza.

Putin di certo è meno gentile in queste ore coi suoi onorati interlocutori musulmani, uno sciita e l'altro della Fratellanza Musulmana. Da tempo ha già stabilito un rapporto di preminenza sulla Siria, seguitando a investire nella presenza militare nonostante le forze dislocate in Ucraina; conosce bene le regole del rapporto con l'Iran, con cui è stato in guerra cinque volte dal 1.600, e con Erdogan, che gioca troppo astutamente con lui e pretende il ruolo di mediatore in Ucraina. Putin mostra al mondo oggi l'arma iraniana e turca pretendendo di riassettare la povera Siria fatta a a pezzi, consente a Erdogan di farsi grande col mercato del grano, non disdegna la vendita di armi, nega che l'Iran gli venda i droni che possono evitare che i suoi aviatori vengano colpiti nei cieli Ucraini. Si posiziona.

Ieri il capo di Stato Maggiore israeliano Aviv Kohavi ha detto quello non è stato detto in pubblico: «L'esercito continua a prepararsi vigorosamente, preparare l'opzione militare contro il programma nucleare iraniano è un obbligo morale e una necessità per la sicurezza nazionale». Un commento pronunciato subito dopo che l'ayatollah Khamenei aveva detto a Al Jazeera che la Repubblica Islamica è capace di produrre la bomba atomica, ma non ha ancora deciso di procedere. Si tratta di giorni? Di ore? Biden ha ripetuto che per lui l'opzione militare esiste in casi estremi, ma che punta alla diplomazia. Il fatto è che l'uranio arricchito al 90% non può servire a niente altro che per la bomba, e Kharrazi ha detto che aspetta solo il via. Biden sa che le condizioni poste dall'Iran sono impossibili. Un suicidio confermato dalla storia e dall'ideologia iraniana. Putin oggi a Teheran ha in mano un pistola carica.

Israele resta il punto di riferimento più affidabile per i Paesi mediorientali che non sanno se gli Usa saranno con loro nel momento cruciale.

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