Il flop degli accertamenti fiscali: "La metà non produce entrate"

La Corte dei Conti: "Il 48% dei controlli sui contribuenti genera solo costi per lo Stato". Il nodo dell'alto carico di tasse e imposte

Il flop degli accertamenti fiscali: "La metà non produce entrate"

Roma - La Corte dei Conti si iscrive nell'albo degli «sponsor» del Grande Fratello fiscale che fa capo all'Agenzia delle Entrate e denuncia che il sistema degli accertamenti non funziona. Non si tratta, beninteso, di un appoggio politico al nuovo modello di gestione varato in tandem dai governi Renzi e Gentiloni e culminato con l'accorpamento di Equitalia che dal primo luglio è Agenzia delle Entrate-Riscossione, ma piuttosto di un approccio analitico di sostegno alla governance del nuovo capo Ernesto Maria Ruffini.

L'analisi, infatti, riguarda i ricorsi trattati presso le Commissioni tributarie provinciali e regionali nel periodo 2011-2016. I magistrati contabili hanno valutato favorevolmente il decremento delle liti pendenti, che l'anno scorso sono scese per la prima volta la soglia psicologica delle 500mila unità (precisamente 469.048), con una riduzione dell'11,6% rispetto al 2015. Il risultato positivo, segnala la Corte dei Conti, è effetto della riduzione del volume del nuovo contenzioso, che nel 2016 è diminuito del 10% circa.

Insomma, i contribuenti decidono di rivolgersi sempre meno alle commissioni tributarie anche perché i costi dei ricorsi sono certi e gli esiti abbastanza incerti. Con il passare degli anni, infatti, la quota di liti pendenti relativa ad avvisi e accertamenti si è sempre più ridotta toccando il minimo del 38,7% l'anno scorso. Il grosso dell'inevaso da parte dei tribunali fiscali, infatti, riguarda liquidazione e riscossione (l'anno scorso la metà delle impugnative riguardava proprio questi capitoli). Più di due ricorsi su tre (il 70,7%) ha un valore inferiore ai 20mila euro e di questi uno su tre è addirittura inferiore ai 2mila euro. Le controversie di valore superiore al milione sono poco più di 4mila.

Che vantaggio, dunque, hanno lo Stato e il contribuente da questo istituto? Molto pochi, a leggere la relazione della Corte dei Conti. È vero che l'anno scorso le entrate da contenzioso sono aumentate superando i 2 miliardi di euro ma c'è il «trucco». Il merito, però, è da ascriversi a due strumenti di recente introduzione. Il primo è la voluntary disclosure, cioè l'autodenuncia dei beni detenuti all'estero (o del contante detenuto in patria) e non dichiarato che comporta la rinuncia al contenzioso e il secondo è la mediazione giudiziale, cioè l'arbitrato che consente di saltare i passaggi in commissione tributaria regionale e provinciale e in Cassazione, ove si decida per il terzo grado di giudizio.

Alla fine il ritornello è sempre lo stesso: una pressione fiscale elevatissima non produce risultati nemmeno con lo strumento giudiziario. Quasi la metà degli accertamenti sostanziali (oltre il 48%), concludono i magistrati, «non ha effetti positivi per l'erario e si traduce in costi gestionali improduttivi e future quote inesigibili».

Di qui un sommesso suggerimento: intervenire in maniera diretta per aumentare la tax compliance, cioè il versamento spontaneo di tasse e tributi come nel caso del canone Rai in bolletta. Questo significa utilizzare tutte le banche dati disponibili per imporre preventivamente il prelievo. Bella scoperta!

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