Manine, depistaggi, sbirri infedeli a braccetto con pm ideologizzati, ossessionati da trame indicibili. Sono 50 anni e più che la mafia è sempre più forte nonostante leggi speciali e straordinarie, ci sono magistrati che hanno collezionato più poltrone che condanne. L'elenco di chi oggi è nella polvere dopo anni sull'altare grazie a scenari suggestivi, buoni per libri o show tv ma non in aula, da ieri si allunga. L'allora sostituto procuratore Pietro Grasso, titolare delle indagini, di quel guanto destro marrone di pelle dice di non averne mai saputo nulla. L'ex questore Filippo Piritore, da ieri ai domiciliari per depistaggio, dice che quel invece l'avrebbe avuto in modo anomalo, tramite un agente della Scientifica. Una "stasi investigativa" in cui l'unica prova si perse.
È presto per dire che cosa è successo, ma l'ennesimo depistaggio nelle indagini sull'omicidio di Piersanti Mattarella del 6 gennaio 1980 inquieta più dei fantasmi senza nome né volto dietro i killer che dalla 127 bianca hanno freddato il governatore e il suo sogno di una Sicilia libera dal boss e borghesia politico-mafiosa.
Quando la Procura di Palermo guidata da Francesco Lo Voi e oggi da Maurizio De Lucia ha riaperto le indagini su Nino Madonia e Giuseppe Lucchese, storici killer di mafia da anni all'ergastolo con alle spalle altri delitti eccellenti (Pio La Torre, Rocco Chinnici, Carlo Alberto Dalla Chiesa), la solita antimafia pelosa e gelosa delle sue "non verità" ha messo le mani avanti sulla pista nera che porta ai Nar Gilberto Cavallini e Giusva Fioravanti che anche Giovanni Falcone aveva percorso ("Dobbiamo capire se è alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa", aveva scritto prima di morire a Capaci). La connessione tra Colt Cobra calibro 38 special usata e i Nar è tutt'altro che certa, sulle schede antropometriche Madonia e "l'orso" Fioravanti, famoso per la sua andatura claudicante, si somigliavano ma la vedova Mattarella Irma Chiazzese non lo sapeva. Rispunta anche l'ex numero due Sisde Bruno Contrada, al tempo funzionario della Mobile.
Ma se a sparare fossero killer estranei a Cosa Nostra armati dai servizi deviati, che ne sarebbe degli ergastoli inflitti a Totò Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca e agli altri della Cupola, che invece si sarebbero rivolti a loro in un delitto così delicato "per disorientare l'apparato investigativo"?
Quella di Lucchese e Madonia è una pista che coraggiosamente porta avanti l'avvocato Fabio Repici e che da anni rimbalza nelle aule giudiziarie. Il guanto è sparito per privilegiare o scartare quale pista? Ce lo dirà forse il Dna parziale trovato sulla 127, o forse no.
Di Grasso resta famosa la massima di Marcello Dell'Utri: "Da calciatore della Bagicalupo di Palermo non l'ho visto uscire sporco di fango neanche dopo una partita sotto la pioggia". Dopo essere stato il presidente Pd del Senato che aveva cacciato il Cavaliere da Palazzo Madama, sentenziò che Silvio Berlusconi aveva fatto le leggi più severe contro Cosa Nostra. E la sinistra lo mise ai margini. La storia di Berlusconi e Dell'Utri, (condannato per concorso esterno) come presunti mandanti delle stragi di Capaci e Via D'Amelio e veri registi della Trattativa Stato-mafia ha sporcato Calogero Mannino, salvando a sinistra ha tratto il dividendo politico, facendo girare a vuoto per anni la macchina giudiziaria. Risultati? Zero.
"Berlusconi era una vittima della mafia perché pagava Cosa Nostra, non ci sono mai state prove di provenienza illecita delle sue fortune", ammette solo oggi l'ex pm Antonio Ingroia, dopo che per anni ha tentato di dimostrare il contrario. Come ha fatto Luca Tescaroli, oggi procuratore a Prato, uno dei tanti come Nino di Matteo - oggi in rotta pure con un Anm troppo politicizzato (oggi?) che si è bevuto le menzogne del falso pentito Vincenzo Scarantino eppure finito al Csm, considerando credibile chi era stato imbeccato dall'ex questore corrotto Arnaldo La Barbera. A firmare il rapporto di 123 pagine sul delitto Mattarella nel 1998 fu Loris Dambrosio, allora all'Antimafia, morto di crepacuore davanti a Giorgio Napolitano quando venne accostato alla trattativa Stato-mafia.
Nessuno degli inquirenti che ha lavorato a Caltanissetta con Giovanni Tinebra (anche lui finito da morto sulla graticola) allora si era accorto di nulla. Neanche Ilda Boccassini (oggi indagata a Firenze per aver mentito proprio a Tescaroli), più preoccupata forse di difendere la sua presunta relazione con Falcone quando si mise di traverso contro chi voleva scandagliare le carte di credito del pm saltato in aria a Capaci. Oggi sappiamo che l'ex procuratore capo di Palermo, Reggio Calabria e Roma Giuseppe Pignatone ha ammesso di aver comprato in nero case da imprenditori in odore di mafia. Gli stessi su cui indagavano i Ros di Mario Mori e che attiravano le attenzioni di Borsellino, che il giorno prima di morire - lo sappiamo grazie a un documento desecretato dalla commissione Antimafia guidata da Chiara Colosimo - stava lavorando su una morte collegata al dossier Mafia-appalti, frettolosamente archiviato da chi oggi si difende dall'accusa di aver voluto far sparire delle intercettazioni tra boss e imprenditori. C'è chi come Roberto Scarpinato, senatore M5s in Antimafia famoso per l'inchiesta Sistemi criminali e la fantasmagorica supercupola P2-mafia-'ndrangheta mai dimostrata, ha telefonato a un pm sotto indagine per favoreggiamento ai boss come Gioacchino Natoli per concordare domande e risposte in Antimafia. Persino l'organismo parlamentare, che sta affiancando il lavoro di Palermo e Caltanissetta, è stato sputtanato dai cacciatori di fantasmi e sui soliti giornali velina delle Procure.
E dire che a lanciare strali sul centrodestra sono gli ultimi epigoni del sistema di Antonello Montante, il discusso ex leader di Confindustria che si è costruito un'allure antimafia a colpi di dossier, accessi abusivi e amicizie con inquirenti. Tra cui - a quanto risulta al Giornale - pure Piritore.