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"Fogar, mio padre, lo incontro nei sogni"

Rachele, figlia dell'esploratore scomparso, si è laureata con una tesi sul papà: "Mi manca, ma non faccio la vittima"

"Fogar, mio padre, lo incontro nei sogni"

«Cara figlia, è la tua prima lettera e spero con il cuore che la mamma te la conservi per quando saprai leggere. Ho fatto un viaggio bellissimo, dove tutto è pulito, semplice e definitivo. Sono lontani i compromessi, i dolori e le rabbie che la vita ci impone senza che ce ne rendiamo conto: l'abitudine peggiore è quella allo squallore e vorrei che tu crescessi leale e forte come il regno del grande freddo: un giorno se vorrai venire ti porterò quassù!...»

Così inizia la lettera che Ambrogio Fogar navigatore, esploratore e conduttore televisivo scrisse il 18 aprile del 1992 di ritorno dal Polo Nord alla figlia Rachele nata un anno prima dalla compagna Katalin Szijarto.

Soltanto cinque mesi dopo, il 12 settembre, Ambrogio Fogar rimase vittima di un terribile incidente che lo rese tetraplegico fino alla data della sua morte avvenuta dieci anni fa il 24 agosto del 2005. Un incidente accaduto in Turkmenistan dove, assieme al compagno il pilota Giacomo Vismara vincitore nel 1986 del Rally Dakar categoria camion, stava gareggiando nel raid Pechino-Parigi: Fogar subì la frattura della seconda vertebra cervicale rimanendo paralizzato.

Quel viaggio promesso alla figlia Rachele non ebbe mai luogo almeno fisicamente ma quei racconti serali o nei week end di un padre alla figlia sono il vero testamento morale di un uomo speciale.

«Mio padre è stato spesso ed erroneamente ricordato come un“eroe imperfetto” in realtà la sua figura è e rimarrà eroica per quello che ha voluto rappresentare con la sua vita» mi racconta Rachele che alla domanda di quale tipo di vita intendesse mi risponde «una vita fatta di sfide, di grandi volontà e di sogni ma sempre una vita vissuta con la consapevolezza cristiana di volerne fare, come recitava Giovanni Paolo II, un capolavoro».

Incontrando Rachele Fogar si avverte immediatamente la presenza del padre dentro di lei.

Rachele oggi ha ventiquattro anni e si è appena laureata all'università Cattolica di Milano in Scienze linguistiche e Letteratura straniera; alta, bella di una bellezza autentica, e con un sorriso coinvolgente, racconta con disarmante dolcezza e serenità quello che è stato il suo rapporto con un padre così straordinario seppur immobile per tredici anni in una carrozzina.

Rachele e il papà si amavano di un amore intenso che non ha mai avuto bisogno di nulla di quello che serve a noi esseri «normali» per vivere.

Una bambina che da quando aveva un anno ha vissuto con un padre bloccato in una carrozzina e in un letto che vita poteva essere chiedo a Rachele.

«Dal suo letto mio papà mi raccontava le proprie avventure per il mondo, mi narrava dell'orso che "addirittura si chiama bianco", della lepre e del lupo e di quel mondo sconosciuto ai più che però diventò per me consuetudine».

Era così che padre e figlia si trasmettevano le proprie emozioni; l'uno raccontando storie di avventura vissuta e l'altra imboccando quell'eroe momentaneamente bloccato in un letto che si concedeva con naturalezza ed umiltà.

Una vita fatta di liturgie quotidiane che si svolgevano anche quando non abitavano più assieme.

«Avevamo abitudini semplici forse banali» racconta Rachele «come quella di mangiare facendo il "castorino" con i grissini assieme e facendo la gara a chi finiva prima, o come la passione comune per il cioccolato bianco ed anche quella di fare i compiti assieme».

Studiavate assieme? «Sì, studiavamo spesso assieme e la prima domanda era sempre quella sui musicisti famosi».

A quella domanda Rachele rispondeva «Beethoven, Mozart e Bach» e così il cucciolo di labrador Chocolate arrivato il giorno di Sant'Ambrogio di un anno fa porta il nome di Bach.

Un cucciolo arrivato dopo la scomparsa del golden retriver regalato da Ambrogio alla piccola Rachele quando aveva sei anni e che rappresentava ancora un ultimo legame terreno con l'amato padre.

Le chiedo quindi come mai abbia scelto di fare una tesi incentrata sulla figura di suo padre. «Avevo bisogno di conoscerlo ancora di più e profondamente anche per quello che riguardava la sua professione e così ho scelto di fare la tesi su di lui dal titolo No Limits, l'esperienza giornalistica di Ambrogio Fogar , un modo per raccontare quanto mio papà, un papà così speciale ed unico per me, mi mancasse moltissimo».

Quel rapporto così spiritualmente intenso tra padre e figlia si manifesta con profonde emozioni come nell'ultimo sogno in cui Rachele e Ambrogio Fogar si sono incontrati: «eravamo in macchina lui davanti ed io dietro - racconta -.

Ad un certo punto mi fa l'occhiolino dallo specchietto retrovisore ed io ho ritrovato la serenità».

Forse in quel sogno c'era quella prima e unica lettera che Fogar scrisse alla figlia e che terminava così «ti stringo, cucciolino del mio cuore, cresci bene che la vita è anche bella».

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