Coronavirus

Folle burocrazia e tasse: così lo Stato intralcia l'arrivo delle mascherine

Il fisco pretende il 6,3% di Iva anticipata sulle protezioni. Onda di solidarietà da Nord a Sud

Folle burocrazia e tasse: così lo Stato intralcia l'arrivo delle mascherine

Fatte in casa con tessuto non tessuto, cucite nei conventi dalle suore, preparate da improvvisate sarte usando le fodere dei divani. Le mascherine fai-da-te possono non solo essere inutili ma risultare dannose, come spiega Ernesto Iadanza, della commissione biomedica dell'Ordine degli Ingegneri di Firenze, che da giorni riceve richieste da parte di quanti tentano di realizzare in proprio i dispositivi di protezione.

L'ondata di solidarietà, però, nulla può contro una burocrazia lumaca, incapace di velocizzare il processo di approvvigionamento e snellire le pratiche doganali per far entrare in Italia gli strumenti fondamentali per arginare i contagi da coronavirus.

«La burocrazia è dissennata - tuona Paolo Tiramani (Lega) - le imprese non solo devono sostituirsi allo Stato nel reperire le mascherine da destinare alle amministrazioni locali, ma devono anche scontrarsi con dogane che non agevolano il rilascio rapido del materiale, dispositivi che hanno costi gonfiati e corrieri espressi che applicano importi per le importazioni aeree fino al 30% del valore della merce. E lo Stato che fa? Invece di agevolare gli imprenditori pretende il normale pagamento anticipato dell'Iva applicando un onere del 6,3% sulla maggior parte dei dispositivi». La Lega ha presentato emendamenti al decreto Cura Italia che propongono l'Iva al 4 per cento su mascherine e respiratori e incentivi per le pmi fino a 2 milioni di fatturato.

Ma non basta. Bisogna correre più velocemente del virus. La Lombardia ha avviato una piccola riconversione dell'economia e non è l'unica Regione ad averlo fatto.

Alcune aziende hanno provveduto da sole e i tappezzieri altoatesini hanno già chiesto un permesso speciale al commissario di governo per modificare la produzione tradizionale e cucire mascherine lavabili e camici.

L'elenco di chi si rimbocca le maniche per aiutare il prossimo è lunghissimo e comprende le donazioni, come quella fatta a Bergamo dalla cinese Fosun Foundation insieme al gruppo Paref, che da Shanghai hanno fatto arrivare migliaia di mascherine di varie tipologie. Poi ci sono i diecimila pezzi regalati dal gruppo Forti Holding al Comune di Pisa e i 1.500 giunti ai volontari di Anpas Toscana grazie all'attività di due pelletterie di Scandicci. A Cerreto Guidi (Firenze) il comune ha consegnato a domicilio due unità a famiglia e a Gottolengo (Brescia) una task force le ha prodotte e consegnate alla popolazione depositandole nelle cassette delle lettere.

E poi ci sono gli arrivi «istituzionali». La Consip ha fatto sapere che sono state già distribuite 561.500 mascherine e altre 311.800 sono in consegna, mentre Francia e Germania hanno rivendicato la donazione all'Italia di due milioni di pezzi.

Ma è una goccia perché ne servono oltre novanta milioni per cercare di creare una barriera contro il Covid-19, proteggendo gli operatori sanitari e quanti rischiano ogni giorno per lavoro e non solo. Non è un caso se sul web c'è chi arriva a vendere 50 unità monouso a 89 euro, come hanno scoperto ieri le Fiamme Gialle di Ravenna. Invece la macchina è lenta e gli ingranaggi troppo farraginosi. «Abbiamo nuovamente offerto alla protezione civile un milione di mascherine certificate CE subito e 100mila a settimana - denuncia da giorni Tullio Romussi, direttore commerciale di una azienda farmaceutica milanese - li avremmo avuti grazie alla collaborazione di un nostro partner cinese. Ieri ci hanno risposto di nuovo che hanno protocollato la nostra disponibilità.

E stop».

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