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Il folle manifesto Davigo: vietato difendersi dai pm

La toga del Csm: «L'imputato che fa appello va rovinato». Ma vuole colpire anche gli avvocati

Il folle manifesto Davigo: vietato difendersi dai pm

C olpirne uno per educarne cento: bastonare un imputato che ha avuto il torto di volere un processo in piena regola, per convincere gli altri imputati a rassegnarsi e a patteggiare. Tra le nuove ricette per far funzionare la giustizia di Piercamillo Davigo, ex pm di Mani pulite e oggi membro del Consiglio superiore della magistratura, c'è anche questa. Siccome a un lettore ordinario l'idea potrebbe apparire inverosimile, ecco la frase testuale del «Dottor Sottile», che indica ad esempio il rito statunitense: «Lì se l'imputato si dichiara innocente, sceglie il rito ordinario e poi si scopre che era colpevole, lo rovinano con pene così alte che agli altri passa la voglia di provarci». Dice proprio così: «lo rovinano». Il mestiere dei giudici, per Davigo, è rovinare gli imputati.

A raccogliere l'edizione 2020 del Davigo-pensiero è Marco Travaglio, con una lunga intervista pubblicata sul Fatto quotidiano di ieri. Che i due la pensino allo stesso modo su molte cose è noto. Ma a Travaglio lo stipendio lo pagano i suoi lettori. A Davigo lo pagano i cittadini.

E non è l'unica perla. Il tema è ovviamente la nuova legge sulla prescrizione, voluta dai 5 Stelle, entrata in vigore a Capodanno, festeggiata da grillini e magistrati già a rischio: non tanto per la timida proposta di legge del Pd quanto per il testo del forzista Enrico Costa, su cui pare destinata a convergere insieme a tutta l'opposizione anche Italia viva. Così Davigo scende in campo a difesa della riforma Bonafede, per quella che verosimilmente sarà la sua ultima battaglia: il 20 ottobre compirà settant'anni, e insieme alla toga dovrà lasciare anche il Csm.

Così, ecco l'eredità di Davigo. Per giustificare la sparizione della prescrizione dal codice penale, l'ex pm spiega che nel codice civile funziona già, così, una causa iniziata non si prescrive più. «E lì ci sono in ballo questioni ben più delicate di pene pecuniarie o detentive, perlopiù finte»: dice Davigo, per il quale una lite condominiale evidentemente è più grave di un'accusa di stupro. E ancora: bisogna permettere che se un condannato fa appello, la pena gli venga aumentata, così «se impugni lo fai a tuo rischio e pericolo»; bisogna ridurre la possibilità si presentare ricorsi, e anche qui Davigo indica ad esempio l'America, dove «per impugnare una sentenza il condannato deve avere il permesso del giudice che l'ha emessa».

Ma i piatti forti dell'intervista sono i due che riguardano il tema delicato del rapporto tra cliente e avvocato. Che gli avvocati esistano solo per fare perdere tempo alla giustizia è una costante del pensiero grillino. E così ecco due soluzioni proposte da Davigo. Bisogna rendere i legali responsabili in solido con il cliente in caso di condanna al pagamento delle spese di giudizio: «Così quando il cliente gli chiede di ricorrere gli fa depositare fino a seimila euro, e poi, in caso di inammissibilità del ricorso, verserà lui la somma al posto del cliente». E poi bisogna dare un taglio al sistema del «gratuito patrocinio», che assicura un difensore a chi non può permetterselo, e che secondo Davigo arricchisce i legali: «Lo Stato paga a piè di lista per tutti gli atti compiuti, e quelli compiono più atti possibili per aumentare la parcella». La soluzione per Davigo è una sorta di processo a prezzo fisso come in trattoria, «un forfait una tantum». Se poi per evitare una condanna ingiusta servirebbe un altro ricorso non previsto dal forfait, l'avvocato non lo fa o lo fa gratis. Due misure che, a ben vedere, sono accomunate da una caratteristica: a pagarne le conseguenze sarebbero solo gli imputati a basso reddito, quelli che intasano i tribunali con i loro processi da quattro soldi.

Questa è la giustizia che nel 2020 sogna l'ex pm che voleva «rivoltare l'Italia come un calzino».

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