La foto di Hjorth con la benda "condivisa" da un poliziotto

Trovato l'agente che ha messo in rete lo scatto ricevuto da un carabiniere. Rischia la sospensione o il congedo

La foto di Hjorth con la benda "condivisa" da un poliziotto

Roma - Un poliziotto. Svolta nell'inchiesta interna all'Arma sulla «talpa» che ha diffuso la foto di Gabriel Christian Natale Hjorth bendato e ammanettato con le mani dietro la schiena in una stanza della caserma di via in Selci. Sono gli stessi uomini del nucleo operativo ad aver interrogato, ieri, alcuni agenti della questura di Roma sospettati di aver postato l'immagine del ragazzo americano in una chat comune delle forze dell'ordine. L'ipotesi? Che sia una persona vicina al carabiniere immediatamente trasferito ad altro incarico, autore del bendaggio e dello scatto.

Certo è che non si tratta dello stesso personaggio, visto che fin dalle prime indagini i militari hanno separato l'ideatore della legatura, un capopattuglia, dal «blogger» improvvisato. Fra i due ci sarebbe stato uno scambio privato dell'immagine. Il secondo uomo avrebbe deciso di mostrare ai colleghi uno dei due stranieri sospettati di omicidio messo in condizioni di non far più male a nessuno.

Motivo? Rabbia (comprensibile), sete di giustizia, varie ed eventuali. Fatto sta che l'immagine di Natale Hjorth a testa china su una sedia mentre almeno tre militari lo guardano ha fatto, purtroppo, il giro del mondo. Tanto che l'Arma, attraverso il comandante generale Giovanni Nistri, ha condannato immediatamente l'episodio. Chi ha divulgato la foto, però, avrebbe lasciato in rete una traccia, tanto che gli esperti dei carabinieri lo avrebbero identificato. Con l'aiuto della stessa polizia postale e delle telecomunicazioni?

Bocche cucite in questura su un caso a dir poco delicato. Il divulgatore della fotonotizia, lo «spione», è accusato dalla Procura militare e da quella civile di divulgazione di notizie segrete o riservate. «Un atto che andava denunciato ma non sui social», spiega il procuratore militare Antonio Sabino. Il rischio che correrebbe è la sospensione dal servizio o, nella peggiore delle ipotesi, il congedo con disonore.

Un fatto grave, la costrizione sulla sedia, anche per i familiari dei due diciannovenni che temono reazioni poco ortodosse nei confronti dei loro figli. Quella dei social, soprattutto le chat di gruppo, è una pratica che ha destabilizzato più volte le forze dell'ordine. La «smania» della condivisione, soprattutto se si tratta di fake news, crea problemi fin dal giorno della morte del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega.

Centinaia di militari, difatti, fanno circolare le foto segnaletiche di cinque fermati, magrebini con precedenti penali, già dal pomeriggio del 26 luglio. Sicuri che fossero loro ad aver accoltellato il collega Cerciello. Un errore, la «pista africana», indotto da Sergio Brugiatelli, il «broker dello spaccio» a Trastevere. E mentre gli investigatori interrogano Lee Elder Finnegan e Gabriel Natale Hjorth, i due californiani fermati in tarda mattinata in albergo e portati in caserma, sulla rete circolano i nomi dei falsi assassini, una banda di marocchini e algerini.

Una storia strana che solleva dubbi a non finire. Intanto ieri mattina anche i legali del principale indagato, Lee Elder, gli avvocati Roberto Capra e Renato Borzone, hanno depositato istanza per il ricorso al Tribunale del Riesame. Una decisione, presa in agosto, che permetterà alla difesa di prendere tempo per strutturare le argomentazioni da sottoporre ai giudici, vista la sospensione estiva delle attività a piazzale Clodio.

Polemiche anche all'interno dell'Arma. Il colonnello Sergio de Caprio, il «capitano Ultimo» che arrestò il capo dei capi Salvatore «Totò» Riina, si chiede perché rivelare che Cerciello, la notte fra il 25 e il 26 luglio, era senza pistola e che l'aveva lasciata nel suo armadietto. Soprattutto perché affermare che «il motivo lo può sapere solo lui».

Non solo veleni, però. Con vari post l'Arma ringrazia i colleghi d'oltreoceano, la polizia californiana in particolare, per i messaggi commoventi postati su Facebook.

Foto di Cierciello in divisa, raccolta di fondi. Gli agenti statunitensi, soprattutto quelli di origini italiane, hanno dimostrato tutta la loro solidarietà e vicinanza alla famiglia di Cierciello e a tutti i carabinieri.

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