Nuotano controcorrente i mediatori. Tentano di chiudere la falla, la fuoriuscita dei dissidenti. Quella ferita aperta che il ministro Graziano Delrio ha paragonato alla crepa della diga californiana. Se cede, ha detto, «l'acqua dopo non la governi più». Se non si riesce ad evitare la scissione le conseguenze sono imprevedibili ed incalcolabili per il Pd. Ed è proprio il timore del disastro che spinge gli strenui sostenitori del «restiamo uni ti» ad adoperarsi in tutti i modi. Li guida il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, che in queste ore sta spendendo tutte le sue energie per convincere i contendenti, i renziani e gli uomini contro, che dividersi ora sarebbe una follia che consegnerebbe inevitabilmente il paese in mano ai Cinquestelle o al centrodestra di Berlusconi e Salvini. Una partita nella quale Franceschini è consapevole di avere molto da perdere in caso di sconfitta. Ma i margini per ritrovare le ragioni dell'unità ci sono, assicura Franceschini che ieri a Firenze ha incontrato il sindaco Dario Nardella mentre con Matteo Renzi ha avuto soltanto una conversazione telefonica. «Ci sono sempre i margini per evitare la scissione, dipende dalla volontà delle persone - sostiene Franceschini - Soprattutto dobbiamo sapere che il Pd non è proprietà di alcuni capi che litigano tra di loro ma appartiene a milioni di persone che ci hanno creduto, che ci credono, e non vogliono questa divisione». Sono «giornate complicate» dice Franceschini che vuole sia ben chiara una cosa: da un lato c'è chi si sta adoperando per la pacificazione dall'altro invece chi opera per la divisione. Alla minoranza Pd il ministro lancia pure un appello su Twitter. «Non vi chiedo fermatevi vi dico fermiamoci - prosegue - Per il nostro popolo dopo una scissione non ci sarebbero innocenti e colpevoli, saremo tutti colpevoli. Non si può disperdere un patrimonio faticosamente costruito in dieci anni».
E ieri si sono lanciati in un appello per l'unità anche venticinque parlamentari europei Pd.
Patrizia Toia, Gianni Pittella, Pina Picierno e altri hanno chiesto al segretario Renzi e agli protagonisti del confronto in corso di evitare la scissione e garantire un partito «forte e unito» in Europa perché il Pd «è un bene pubblico». Anche in questo caso però l'accordo non c'è visto che Goffredo Bettini, i «bersaniani» Antonio Panzeri e Flavio Zanonato e il dalemiano Massimo Paolucci non hanno sottoscritto il documento.
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