
L'accordo, con ancora molti punti da chiarire e dettagli da concordare, tra Ue e Usa non ha entusiasmato i mercati. Anzi, le Borse europee hanno chiuso la seduta senza particolare slancio: a Francoforte il Dax ha perso l'1,02%, Parigi lo 0,43% e a Milano l'indice FtseMib è rimasto stabile con un +0,01% dopo aver guadagnato fino all'1,2% nel corso della mattinata. Al di fuori dell'Unione europea, Londra ha perso lo 0,43 per cento. Lo spread tra Btp italiani e i Bund tedeschi è sceso a 84 punti base. Intanto, peggiora ulteriormente l'euro che cede l'1,2% sul dollaro e scivola sotto quota 1,16 in quella che è stata la peggior performance della moneta unica dallo scorso maggio. Seduta debole anche per Wall Street con l'S&P 500 a -0,13% alle 21 italiane e il Dow Jones in calo dello 0,25 per cento. In leggero rialzo solo il Nasdaq (+0,16%).
Il focus degli analisti è sul comparto della Difesa e dei titoli Leonardo (-2,8%), Thales (-4,2%) e Rheinmetall (-3,2%) per l'impegno da parte della Ue ad aumentare gli acquisti di armamenti statunitensi per un valore stimato (ma non confermato) di 150 miliardi di dollari. Gabriel Debach, market analyst di eToro, ricorda che "negli ultimi mesi, la narrativa europea si era imperniata sulla sovranità industriale in campo difesa: il piano ReArm Europe, con 800 miliardi di euro previsti entro il 2030, rappresentava il pilastro di un riarmo continentale orientato a filiere interne, con priorità al procurement europeo. Leonardo, Thales, Rheinmetall e Hensoldt hanno cavalcato questa onda: da inizio anno, +82% per Leonardo, +67% per Thales, +177% per Rheinmetall, +172% per Hensoldt. E l'accordo Ue-Usa incrina proprio questo: se una quota crescente della domanda futura verrà intercettata da Lockheed Martin, Raytheon e Northrop Grumman, il potenziale per l'industria continentale si restringe. Non è solo una questione di margini, ma di posizione strategica nel mercato globale. E sul fronte europeo il rischio è che gli sforzi per il reshoring e l'integrazione verticale si trasformino in promesse non mantenute", spiega Debach. Per Leonardo, aggiunge l'esperto di eToro, "la pressione arriva dopo mesi di euforia" ma "la leadership, in Borsa, ha un prezzo, quando si diventa il titolo da avere, si diventa anche il primo da vendere se il vento cambia".
Dai mercati finanziari alle reazioni delle aziende. "L'accordo è un fattore di certezza in tempi incerti, andrà valutato con attenzione anzitutto per chiarire se la soglia dei dazi livellati al 15% sulle merci europee esportate negli Stati Uniti sia ricomprensiva di quelli preesistenti. Il costo è, comunque, rilevante", commenta Confcommercio. Invece per Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, "un'aliquota al 15% penalizza molto alcune filiere come quelle del vino, che avevano dazi significativamente inferiori, e meno altre che avevano già questi valori".
Gli agricoltori della Coldiretti tirano un sospiro di sollievo rispetto all'ipotesi iniziale del 30% "che avrebbe causato danni fino a 2,3 miliardi di euro per i consumatori americani e per il Made in Italy agroalimentare", ma avvertono che l'intesa avrà "impatti differenziati" e va quindi "accompagnata da compensazioni europee per le filiere penalizzate". Sul settore dei vini, i dazi sono "una bella botta": l'Unione italiana vini stima un danno di "circa 317 milioni cumulati nei prossimi 12 mesi".