Li hanno colpiti nel sonno, sorprendendoli alle prime luci dell'alba. Hanno sparato alla cieca e tagliato teste, provocando, ma il numero purtroppo è destinato a salire, almeno 150 vittime. La furia di Al Shabaab, i jihadisti somali affiliati ad Al Qaida, si è abbattuta ieri mattina sul campus universitario di Garissa, nell'est del Kenya, a 150 km dal confine con la Somalia. Il gruppo che fa capo ad Ahmad Umar è tornato a mostrare i muscoli con una ferocia inaudita nei confronti dei cristiani, martirizzando giovani esistenze come era già accaduto il 21 settembre 2013 al centro commerciale Westgate di Nairobi (67 morti). Il delirante disegno è ormai chiaro: sfondare nell'Africa dell'est per trovarsi a metà strada con i miliziani nigeriani di Boko Haram, che hanno già invaso il Camerun, e costruire un'ampia regione di Islam nero radicale nel ventre dell'Africa.
La cronaca e le testimonianze provenienti da Garissa, città di 120mila abitanti a 300 km da Nairobi, sono raggelanti e il puzzle di quanto accaduto arriva direttamente dalle voci sotto choc di chi è riuscito a sottrarsi alla furia dei macellai somali. Erano le 4.30 quando un gruppo di almeno cinque miliziani mascherati ha fatto irruzione nel campus (frequentato da 815 studenti e circa 60 insegnanti) dopo aver freddato due guardie al cancello di ingresso. Una volta entrati, hanno aperto il fuoco a caso, mentre gli studenti stavano ancora dormendo. Poi si sono asserragliati in uno dei dormitori. In un secondo momento hanno suddiviso gli studenti: da una parte i musulmani, dall'altra i non musulmani e poi hanno lasciato liberi solo i primi, in tutto 15 ragazzi. A quel punto è ripresa la mattanza. «Gli aggressori sparavano a chiunque in vista, all'interno del collegio. Ho visto persone mettersi in ginocchio e supplicare, freddate con un colpo alla testa», racconta tra le lacrime Agustin Alanga, uno dei tanti studenti che è riuscito a trovare una via di fuga. Le forze dell'ordine keniote sono entrate in azione, con ritardo colpevole (a tal proposito è stata aperta un'inchiesta) soltanto attorno alle 13, quando i miliziani si trovavano da ormai otto ore all'interno del campus. Collins Wetangula, uno dei docenti, denuncia: «Da tempo eravamo minacciati, avevamo chiesto al ministero dell'Istruzione di occuparsi del problema e per tutta risposta avevano affidato la sicurezza della struttura a due sole guardie». Il blitz si è concluso attorno alle 19 italiane, ha annunciato il capo della polizia Joseph Boinnet. Quattro terroristi sono stati uccisi, un quinto avrebbe fatto perdere le proprie tracce, mentre 500 studenti sono stati messi in salvo. Winnie Njeri, tra quelle riuscite a scappare, ha dichiarato di aver «visto corpi senza teste» quando è stata tratta in salvo. Aggiunge Omari Ibrahim, uno dei 15 studenti musulmani liberati: «Abbiamo visto molti corpi e alcuni non avevano più le teste. Non riesco a capire come qualcuno riesca a fare cose di questo tipo tipo». Gli Al Shabaab hanno rivendicato l'attentato spiegando di aver «punito il Kenya per il sanguinoso e inopportuno intervento militare in Somalia».
Un altro aspetto sconvolgente della vicenda è rappresentato dall'uomo che ha architettato l'assalto. Il ministro degli Interni keniota Joseph Nkaissery ha fornito le generalità di Mohamed Mohamud Kuno, ex professore proprio dell'università di Garissa. Fino al 2007 insegnava storia dell'islam, poi entrò in clandestinità abbracciando le idee estremiste dell'allora leader supremo Ahmed Abdi Godane (ucciso lo scorso settembre). Assieme ad Al Shabaab ha rivendicato l'attacco del 22 novembre 2014 contro un autobus a Mandera (sempre in Kenya), costato la vita a 28 passeggeri non musulmani, e ha fatto uccidere in Uganda, lo scorso 30 marzo, il giudice cattolico e anti-jihad Joan Kagezi. Su di lui pende una taglia di 200mila euro. Il Kenya, come ai tempi dell'assalto al Westgate, sprofonda nel terrore. Il presidente Uhuru Kenyatta ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale e una settimana di coprifuoco. Si temono nuovi attentati, soprattutto nelle strutture turistiche.
La preside vieta la benedizione pasquale delle classi e i genitori organizzano un sit-in di protesta fuori dalla scuola e chiamano il parroco respinto a incontrare lo stesso gli alunni. È accaduto ieri a Perignano, piccolo centro del Pisano, dove da 32 anni guida la comunità parrocchiale don Armano Zappolini, sacerdote conosciuto in Toscana anche per le simpatie politiche a sinistra e il ministero anticonformista.
Alla fine la preside contestata dai genitori ha acconsentito che la benedizione si svolgesse all'interno dell'istituto, che ospita due scuole elementari, nell'aula magna con la sola esclusione dei bimbi che non seguono l'ora di religione. «Mio figlio è musulmano - ha urlato una mamma durante la protesta - ma vorrei ugualmente che ricevesse la benedizione altrimenti si rischia di insegnare il razzismo ai bambini già da piccoli».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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