Il difficile viene adesso, e Mario Draghi lo sa. Per questo prova ad evocare quello «spirito repubblicano» che nell'Italia delle tifoserie, dei mille campanili e delle diecimila corporazioni non si è mai intravisto, e lancia un monito solenne che dovrebbe far venire i brividi, alla sua maggioranza innanzitutto ma a tutta la politica. «Ritardi, inefficienze e miopi visioni di parte peseranno sulle nostre vite, e quelle dei nostri figli e nipoti. E forse non ci sarà più tempo per porvi rimedio», dice. Un memento rivolto anche ai partiti, perché d'ora in avanti si muovano nella consapevolezza che gli investimenti e le riforme del Pnrr sono l'ultima occasione, e se verranno sprecati non ci sarà più modo per risollevarsi.
Che di tutto questo i suoi interlocutori politici e amministrativi siano consapevoli, e capaci di tener conto, è ancora tutto da vedere. A giudicare dal mediocre dibattito parlamentare seguito all'intervento del premier, e dalla gara subito scoppiata tra i partiti per intestarsi questo o quel comma del piano nella maggioranza, o per criticare a prescindere dall'opposizione, è difficile essere ottimisti. Il Pd è il più rapido ed efficace nel rivendicare la paternità di alcuni punti del Pnrr, e nello sposare la linea Draghi: «Le parole del premier ci sono piaciute, le sentiamo nostre e ci convincono - dice il segretario Enrico Letta -. C'è la clausola di premialità a favore dell'occupazione delle donne e dei giovani, una novità che abbiamo fortemente voluto. Ora avanti con fiducia». Gli altri esponenti del partito ribadiscono il concetto, sottolineando uno dopo l'altro la paternità della misura: «Il Pd si è intestato e ha vinto una battaglia importantissima su donne e giovani», sottolinea il ministro Andrea Orlando. In aula i dem fanno intervenire (a differenza degli altri) un pezzo da novanta come l'ex ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, che ai tempi del Conte due ha portato avanti la trattativa in Ue chiedendo quel «salto di qualità» nella risposta europea che poi si è concretizzato nel Recovery Plan, e che oggi riconosce nel piano Draghi «un passaggio storico»: «Un ottimo piano che conferma, rafforza e completa» quello abbozzato da Conte. «Il Pd è pronto a fare la sua parte, gli altri non siano da meno», invoca.
Assai più in difficoltà i Cinque stelle, che devono comunque una difesa d'ufficio al precedente governo. E che hanno puntato tutto (forse nella speranza di acquisire nuovi elettori) sulla carta del Superbonus, senza ricevere da Draghi la bandierina della proroga al 2023 che reclamavano: «Promettere di farla con la prossima legge di Bilancio non basta, è troppo in là, deve essere immediata», lamentano. Conte è il più imbarazzato: sa che il Pnrr di Draghi ha interamente riscritto il suo, e per evitare di parlarne (e alimentare tensioni in maggioranza, nella speranza di indebolire il suo successore) si butta sulla polemica politica contro la Lega, sfidando i ministri leghisti a «dissociarsi» dai proclami anti-coprifuoco di Salvini. «Bisogna scegliere se stare dalla parte di chi soffia sul fuoco o di chi si rimbocca le maniche per spegnere l'incendio».
Dalla Lega però arriva un plauso convinto al Pnrr di Draghi, con ovvia rivendicazione di averne ispirato le parti più significative: «Al suo interno ci sono tutte le priorità da noi indicate, dal taglio della burocrazia alla riforma di giustizia e fisco», dicono i capigruppo Molinari e Romeo. Plaudono al piano Draghi e alle sue riforme Forza Italia, +Europa e Italia viva.
«Le riforme saranno la chiave per rimettere in moto la nostra economia, è la sfida che la maggioranza deve vincere», dice il capogruppo Fi Occhiuto. Dall'opposizione, Fdi lamenta questioni di metodo (poco coinvolgimento del Parlamento) più che di merito, e Guido Crosetto riconosce: «Ho letto critiche, ma nel complesso il Pnrr definisce gli obiettivi in modo serio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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