A Gaza la tregua è già rotta E Netanyahu è tra due fuochi

Il premier a 13 giorni dal voto combattuto tra l'azione di terra e le critiche dello sfidante Gantz: «Traditore»

Fiamma Nirenstein

Gerusalemme «Tregua? Quale tregua? - chiede triste una donna al telefono dalla sua casa di Sderot - Ne ho contate sette di tregue nell'ultimo anno e ho contato invece decine di sirene durante quest'ultima nottata...» Tregua? Quale? Quella che Hamas ha dichiarato dalle 3 di notte quando ormai gli elicotteri Apache avevano attaccato bombardando l'ufficio (vuoto) di Ismail Haniyeh, e avevano fatto a pezzi diversi depositi militari. La gente d'Israele è esasperata a tredici giorni dal voto del 9 di aprile. I missili ormai hanno colpito metà del Paese, dal confine con Gaza fino al centro di Israele e più a Nord. Questo è un Paese piccolo e vulnerabile, a portata di missili di Hamas finché il suo territorio diventa zona a portata dei missili degli Hezbollah. In queste ore i suoi carri armati e i suoi mezzi corazzati sono ammassati sul confine con Gaza. Ma il Paese non è militarista: sulle reti sociali è diventato virale un video che mostra una famigliola che gioca con le sue due bambine piccolissime alla «festa del rifugio», che è tutto adornato di orsacchiotti e festoni. Le pupe col pigiamino ridono mentre il padre le rassicura che quei bum che si sentono sono solo un gioco, e un donna madre piange di nascosto poco lontano.

Benjamin Netanyahu ha lasciato a Washington, il tappeto rosso e la firma storica che riconosce la sovranità di Israele sul Golan. Trump gli ha regalato la penna con cui ha firmato il riconoscimento, un portafortuna di cui Bibi ha bisogno. Appena arrivato inseguito da mille accuse è andato direttamente al ministero della Difesa, per incontrare tutti gli esperti E i militari. Ma non ha presentato soluzioni, promesse e tantomeno tregue. Netnayahu sa che con Hamas si può solo bloccarla con la forza senza però cadere nella trappola degli scudi umani che Hamas usa per catturare il consenso internazionale, e aspettare la prossima puntata. Nessuno crede in Israele che la tregua durerà più di qualche ora: lo provano gli inviti continui di Hamas ad attaccare gli ebrei (la tv trasmette una canzone che invita a farli a pezzi), l'atmosfera di vittoria che si respira a Gaza, i preparativi presso il confine dove Hamas celebra un anno dall'inizio degli scontri con gli aquiloni incendiari.

Siamo ancora agli inizi mentre invece la campagna elettorale è agli sgoccioli, e i suoi toni sono sanguinosi, micidiali, irreparabili, e non si capisce che cosa succederà se le due maggiori forze politiche, il Likud di Netanyahu e Azzurro e bianco di Benny Gantz, fossero costrette a collaborare più avanti: le offese volate fra i due non sono offese politiche ma dichiarazioni di disgusto, di totale disistima. A partire dall'accusa di non aver saputo difendere i cittadini dall'odio armato di Hamas, di non averlo fermato prima che colpisse ancora. Di certo Hamas battuta in tre guerre si ripresenta sempre come un'idra dalle mille teste, e di certo Netanyahu non dimentica che nell'ultima guerra ha dovuto contare 73 morti.

Bibi promette una durissima risposta, ma per ora sta attento a non creare una situazione che si svilupperebbe solo in un ingresso delle truppe di terra. Gantz critica Netanyahu dall'alto della sua posizione di ex capo di Stato maggiore, ma sta molto attento a non perdere il voto della sinistra pacifista. Dice lo stesso di Netanyahu, ma criticandolo. Ma al di là della guerra Gantz e io suoi si sono avventurati a definire il primo ministro «un traditore», per i sottomarini tedeschi comprati in passato, e nelle sue parole e quelle dei suoi compagni, fra cui altri due ex Capi di Stato Maggiore, si legge un risentimento, che straripa. Il Likud usa invece senza pietà la notizia che il telefonino di Gantz sia stato violato dal regime iraniano e che quindi potrebbe ricattarlo. E si critica il carattere incerto e poco portato alle interviste di Gantz, che balbetta e perde il filo di fronte agli intervistatori tv.

Chi vincerà? Difficile che il premier voglia avventurarsi in una guerra adesso, rischioso per il risultato elettorale; ma se non

reagisce come la gente chiede, rischia di perdere voti. Il dilemma è grande, e non è piacevole pensare quanto il destino di un paese come Israele possa essere legato a quella di un'organizzazione terroristica come Hamas.

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