
Mentre dalle coste libiche arriva un tragico e quasi quotidiano bollettino di vittime del traffico di esseri umani, il presidente del Consiglio sbarca a Tunisi per affrontare con l'inviato dell'Onu Ghassan Salamé la questione del futuro della Libia. Una questione che ha per il nostro Paese, non c'è bisogno di sottolinearlo, una valenza strategica di prima grandezza: senza stabilità in Libia, infatti, il controllo delle coste da cui partono con l'interessato aiuto dei trafficanti oltre centomila africani l'anno diventa una chimera - senza dimenticare l'aspetto economico del rapporto tra Roma e Tripoli, che riguarda in primo luogo le forniture energetiche.
Paolo Gentiloni sottolinea con Salamé che la stabilizzazione della Libia «avrebbe conseguenze anche per la sicurezza in Italia», ma anche «consoliderebbe i passi in avanti che già abbiamo fatto nella lotta contro i trafficanti di esseri umani».
Riconosce che la situazione attuale del Paese un tempo controllato con metodi duri da Muammar Gheddafi «è fragile», ma afferma che «l'azione dell'Onu la sta portando verso un contesto migliore». Dalla Libia - afferma Gentiloni - ora c'è l'apertura necessaria «per accelerare i rimpatri volontari e lavorare sui potenziali corridoi umanitari. Tutto questo fino a un anno fa era impossibile, non volevano neanche la presenza di organizzazioni internazionali nei campi profughi sul loro territorio».
Poi enuncia l'obiettivo condiviso con l'inviato delle Nazioni Unite: stabilizzazione dell'attuale governo provvisorio libico ed elezioni politiche entro la fine del 2018.
Nel suo intervento al termine dell'incontro con Salamé, Gentiloni ha insistito sulla necessaria azione per il rispetto dei diritti umani in Libia. Dicendosi «più che deluso» per le violazioni che avvengono nei campi per i migranti sulle coste libiche, il presidente del Consiglio ha affermato che «dobbiamo tutti sentirci traumatizzati e dobbiamo agire». Gentiloni ha rivendicato un ruolo importante per l'Italia, «la cui iniziativa degli ultimi 6-7 mesi sta permettendo di accendere un riflettore internazionale sulla situazione». Secondo il premier, «se oggi organismi dell'Onu possono intervenire in Libia è perché l'iniziativa italiana ha consentito passi avanti».
Quanto alla Tunisia, Paese in cui l'incontro ha avuto luogo, Gentiloni ha dato atto «dei passi avanti fatti sul terreno della sicurezza e della lotta al terrorismo», oltre che dei progressi «del suo percorso democratico».
E prima di proseguire nel suo viaggio che lo doveva condurre in Angola, ha reso omaggio presso il museo del Bardo alle 24 vittime dell'attentato terroristico islamico del 18 maggio 2015, quattro delle quali erano italiane.