Il gioco delle tre carte sui numeri spia di un'opposizione perdente

Gli strani calcoli della segretaria dem sul voto diventano un boomerang. Il precedente di Conte

Il gioco delle tre carte sui numeri spia di un'opposizione perdente
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L'ultimo gioco delle tre carte sui numeri di questi referendum, a sentire l'eminente Istituto Cattaneo, sarebbe stato fatto addirittura sulla partecipazione al voto che contando anche il voto all'estero non supererebbe la quota del 30% (29,9% per l'esattezza). È l'ultimo ballon d'essai sui dati che era cominciato con uno strano calcolo algebrico in cui Elly Schlein per superare i voti del centrodestra alle ultime elezioni i politiche (il suo pallino) sommava addirittura i «no» ai «sì». Poi a gettare benzina sul fuoco ci ha pensato YouTrend chiarendo che per il solo voto in Italia la media dei «sì» nei quattro referendum sul lavoro (contando anche quello sulla cittadinanza per la Schlein sarebbe stata una Caporetto) sono inferiori di 200mila voti a quelli ottenuti dal centrodestra nelle ultime elezioni politiche. Una congettura che ha reso strafelice il centrodestra a cominciare dal capogruppo alla Camera, Galeazzo Bignami.

La verità è che nel Belpaese taroccare i numeri è una vera e propria scuola, specie in politica. Nella Storia italica la matematica è diventata un'opinione anche nelle leggi di bilancio per andare incontro ai desideri del governo di turno: Giuseppe Conte da premier gialloverde arrivò ad aggiustare il rapporto deficit/Pil dal 2,4% al 2,04% solo perché faceva rima. Sui referendum in quest'occasione non si sono raggiunte simili vette per le quali è necessario avere una spiccata faccia di bronzo, ma si sono sfiorate. E la ragione politica è semplice: tutti, ma proprio tutti, sapevano che il quorum per far passare i «sì» non sarebbe stato mai raggiunto, per cui la Schlein, in primis, e gli altri dietro, da Conte a Fratoianni, dovevano inventarsi una narrazione per trasformare una sicura sconfitta in una mezza vittoria. Da qui l'idea di prendere come pietra di paragone i voti assoluti presi dal centrodestra alle ultime elezioni politiche, quelli che hanno permesso alla Meloni di arrivare a Palazzo Chigi.

Una narrazione che per assurdo ci poteva anche stare solo che al solito l'appetito vien mangiando e la Schlein non si è accontentata di dire che contando anche i voti all'estero la media dei «sì» sui quattro referendum sul lavoro era superiore di 300mila voti al risultato del centrodestra nelle politiche del 2022. Ha voluto strafare. Per cui ne è nato un guazzabuglio in cui affluenza al voto e «sì» si sono mescolati dando vita ad una parodia sui numeri come quella del film «Totò al giro d'Italia». Con il paradosso che per avere più voti del centrodestra nelle politiche e per arrivare al 30% di affluenza, il vertice del Pd si è affidato al voto degli italiani all'estero, voto che ha sempre guardato con diffidenza.

E, invece, alla Schlein bastava guardare i dati per quelli che sono. Magari traendone insegnamento: primo, i referendum sono stati un «boomerang»; secondo, il gruppo dirigente della sinistra sul tema della cittadinanza e dell'immigrazione sono su un altro pianeta rispetto anche al proprio elettorato. L'elemento positivo, invece, è che la Schlein può contare su un blocco di 12 milioni di voti e rotti, che si sono manifestati su dei quesiti referendari molto identitari, assimilabili alle logiche e alle cultura della sinistra di un tempo.

La vera questione, quella centrale, è però un'altra: dal voto referendario emerge che quel «blocco rosso» se non si apre ai centristi di Renzi e Calenda e non coinvolge i riformisti non vince. Buona parte dei «no» al referendum sui temi economici vengono da lì. Schlein, Conte e Fratoianni possono fare mille capriole, inventarsi tutte le congetture che vogliono, ma questo è il segnale principale che viene dal voto di ieri e che il nocciolo duro della «sinistra» con il gioco delle tre carte ha cercato di camuffare. Un dato storico perché il bacino della sinistra in questo paese è quello di una forte minoranza: lo era ai tempi di Berlinguer e, infatti, non è mai andata al governo; mentre per vincere due volte le elezioni nel bislacco bipolarismo italiano ha dovuto ricorrere al centrista Prodi.

I risultati dei referendum ne sono stati un'ulteriore conferma.

Un dato che non cambi neppure se metti come gli struzzi la testa sotto la sabbia. Un dato su cui, al di là dei canti di vittoria, sta riflettendo anche il centrodestra. Non per nulla nei prossimi mesi l'argomento di una nuova legge elettorale terrà banco.

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