Oggi è il giorno del nuovo Italicum, così come lo riscriverà la Corte costituzionale. E tutto fa pensare che le sue correzioni tecniche rimanderanno poi ad una scelta politica, che potrebbe portare ad una resa dei conti tra i partiti, ma anche tra governo e Quirinale, tra ex premier Matteo Renzi e Capo dello Stato Sergio Mattarella.
La sentenza che entro stasera o al più tardi domani si pronuncerà sui ricorsi sulla legge elettorale pensata con la bocciata riforma Boschi, e dunque solo per la Camera, sarà certo «auto-applicativa», visto che il Paese non può essere mai privato di un sistema per andare al voto, ma rimarrà in piedi il problema del Senato che al momento potrebbe essere eletto solo con il Consultellum, uscito dal verdetto sempre dell'Alta Corte nel 2014 sul Porcellum.
Mattarella, però, ha detto chiaro che è necessaria l'«omogeneità» tra i due sistemi e dunque serve un intervento del parlamento. Ed è probabile che la Consulta, sempre molto in sintonia con il Colle, introduca un monito alle Camere perché provvedano a sintonizzare le elezioni di Camera e Senato. Il parlamento è sovrano e potrebbe decidere anche di mantenere due sistemi diversi, ma si metterebbe contro il Quirinale.
È lo scenario che Renzi e molti nel Pd temono, perché il dibattito parlamentare potrebbe rimettere tutto in discussione. L'ex premier sembra aver gran fretta di misurarsi con l'elettorato, prima dell'estate al massimo in autunno, tanto da essere pronto ad utilizzare il vecchio Mattarellum. Cerca così di rimanere leader e contrastare le divisioni nel suo partito, ma potrebbe trovare un ostacolo anche nel suo successore Paolo Gentiloni. Il capo del governo non ha certo urgenza di lasciare Palazzo Chigi, malgrado il patto con Renzi e si è appena augurato che dopo la scelta della Consulta si avvi «un dialogo tra le forze parlamentari per una legge elettorale per Camera e Senato non troppo disarmoniche». Insomma, è sulla linea di Mattarella più del segretario dem.
Sarà dunque cruciale vedere se la sentenza della Consulta fornirà una legge elettorale non demolita o stravolta, ma solo ritagliata in alcune parti, che possa essere facilmente utilizzata dal parlamento come base di un sistema valido per ambedue le camere. E per questo bisognerà aspettare le motivazioni, tra metà e fine febbraio.
Le indiscrezioni dicono che i giochi sono già fatti, o comunque che l'esito è stato preparato. Si tratta di una causa «scivolata», come si dice nel gergo della Consulta, che dal 4 ottobre è stata rinviata a dopo il referendum costituzionale.
Ieri mattina ci sarebbe stato un pre-consiglio nel palazzo della Consulta, tra i 13 giudici (Frigo non è stato sostituito dalle Camere e Criscuolo è malato), per presentare la proposta del relatore, il costituzionalista Nicolò Zanon, ex laico di Fi al Csm, tra i «saggi» scelti nel 2013 da Enrico Letta per la riforma costituzionale, nominato da Giorgio Napolitano alla Corte nel 2014: bocciatura solo di ballottaggio e candidature in più collegi. Rimarrebbe un sistema proporzionale con premio di maggioranza al partito che supera il 40 per cento. Sarebbe una sentenza tipo quella del 2014 sul Porcellum.
Il parlamento dovrebbe intervenire, per trasformare il partito vincente in coalizione, per omogeneizzare lo sbarramento alla Camera del 3 per cento e al Senato dell'8. O per seppellire l'Italicum e passare ad un altro sistema.
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