Cronache

"Giovani criminali? Solo più scoloriti"

Don Rigoldi, il cappellano del Beccaria: "Nei ragazzi c'è sempre meno speranza"

"Giovani criminali? Solo più scoloriti"

Piccole rapine, spaccio di droghe leggere. Sono quasi 30mila i minori che hanno commesso un reato in Italia nel 2020. Un esercito che rimane sommerso. Nascosto tra le pieghe della società. Ragazzi spesso abbandonati, lasciati ai margini. E quando non si recupera significa un disastro più grande ancora perché la strada a quel punto è segnata e indietro non si torna. A fare la differenza spesso è dove finisci: chi viene affidato a una comunità ha più possibilità di cavarsela, e il tasso di recidiva è di circa il 20%, che sale invece al 60 se si sconta la pena in cella.

Don Gino Rigoldi guarda i dati e vede qualcosa che va ben oltre i numeri e ne fa un racconto sociologico, lo spaccato di un mondo che corre su binari paralleli di una società che sa di loro ma li lascia ai margini, nelle loro vite illegali e nascoste. Sono oltre 50 anni che don Gino, Cappellano del carcere Beccaria di Milano, carica che ricopre tuttora, vive in mezzo a questi ragazzi alle prese con la giustizia. È diventato il faro per i più fragili, quelli che non hanno niente, neanche l'età. «Io li conosco perché con loro ci parlo, parto sempre dalla necessità di instaurare un rapporto, un dialogo, senza quello non vai da nessuna parte. Puoi far finta di non vederli, ma sbarazzarsi di un problema non vuol dire risolverlo». E loro si affidano a lui, qualcuno è stato perfino adottato dal don, spesso sono ragazzi che non sanno dove andare e vengono accolti dalla Comunità nuova. Li aiuta a crescere, li fa studiare, imparare un mestiere. Legge i dati del report della Cooperativa sociale Arimo e non si stupisce più di tanto. «Più che una gioventù delinquente io vedo una gioventù scolorita».

Eccolo il problema. Nella prima frase c'è già tutto un mondo. E non riguarda necessariamente e solo i ragazzi difficili. «Negli ultimi anni non trovo più criminali incalliti, sono piuttosto in dubbio su quale strada scegliere. In loro è come se ci fosse poca speranza, se non volessero niente, hanno poca compagnia e prospettiva zero, con famiglie talmente allargate che si sono spaccate in mille pezzi e che non esistono proprio». Non sta forse denunciando un mondo più vasto di quello della delinquenza minorile? «Spesso i miei ragazzi arrivano da famiglie che li rifiutano, i genitori con i nuovi partner non vogliono farsi carico dei figli avuti da precedenti relazioni. Loro restano senza punti di riferimento. Si aggrappano alla banda del quartiere, dove il leader è quello che ha la macchina più lussuosa e abiti firmati». I tre quarti di loro sono stranieri, e posti al Beccaria sono solo 35. Gli altri vengono spostati fuori, lontano dai progetti educativi di Don Rigoldi, a Bari, Napoli, Catania. Persi.

E allora che fare? Lui la risposta ce l'avrebbe anche: «Così mi sfogo anche un po'», dice senza mai fermarsi. Di tempo non ne ha mai molto, ora ad esempio è in partenza, come spesso gli capita, ma ha sempre un attimo da dedicare a chi si interessa al suo mondo che resta troppo spesso invisibile. «Il problema vero è la qualità educativa che è del tutto occasionale. Si va a fortuna, e se ti va bene trovi un insegnante che fa centro. Non succede quasi più. Eppure basterebbe poter partire da lì, dall'educazione, dalla scuola che è rimasto l'unico grande contenitore visto che dalla famiglia, soprattutto per i più fragili non arrivano ancore di salvezza. La scuola potrebbe avere un ruolo centrale. Purtroppo manca». A sentire lui la ricetta sarebbe anche realizzabile e il segreto è tutto nel rapporto. «Tra i ragazzi che mi hanno affidato c'è un rapper. Nelle sue canzoni dialoghi violenti e offensivi, la solita modalità di rapper insomma. Abbiamo fatto un progetto insieme, ha girato un video con delle scene anche a casa mia, ma le frasi non dovevano offendere nessuno. Ha fatto in due settimane un milione di follower. Ci vuole un dialogo sociale strutturato». Lui da solo non può fare tutto. Le istituzioni sono importanti. Bisogna agire insieme e smantellare luoghi che nella criminalità ci inciampi dentro per forza. «Le gang latine? Ultimamente sono un po' sottotono, sono più violente le gang miste, molto più pericolose che si innestano in questi quartieri a rischio. Penso a San Siro come a via Gola oppure a piazza Tirana: caseggiati da demolire. C'è stata una confluenza esasperata fatta di troppe emergenze: la criminalità, la povertà, la dispersione scolastica, la mancanza di lavoro.

Sarebbe troppo per chiunque».

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