Giuli dal Maxxi alla Cultura. Il "gramsciano" di destra che ama la mitologia pagana

Giornalista, militò nel Fronte della Gioventù. Un nonno partigiano, l'altro alla Marcia su Roma

Giuli dal Maxxi alla Cultura. Il "gramsciano" di destra che ama la mitologia pagana
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Alessandro Giuli, classe 1975, dopo una lunga carriera giornalistica e una più breve da presidente del Maxxi arriva al vertice del ministero della Cultura. Ci arriva con un passo discreto e una certa nonchalance stoica di chi mastica la cultura classica (persino gli avversari da talk show gli riconoscono il suo essere un polemista garbato): «Quelli che più mi piacerebbe frequentare sono tutti morti prima della nascita di Cristo». Si dice che la nomina l'avesse già sfiorata in prima battuta, quasi due anni fa, prima che un ragionamento politico, piuttosto comprensibile, gli avesse fatto preferire l'ex direttore del Tg2, Gennaro Sangiuliano, che dava alla premier maggiori garanzie di allargare lo spazio culturale oltre i confini (reali o presunti) della destra. Noto per essere «in carriera», ma senza cattiveria, assorbì la scelta sine polemica. Il suo sapersi muovere senza scoppi pirotecnici potrebbe essere una delle chiavi che l'hanno portato verso la nomina.

Giuli porta con sé una certa narrazione del mondo che potremmo definire «Foglio style», una narrazione che funziona bene, visto che sono rintracciabili «foglianti» al vertice del Salone del libro della Biennale e ora proprio del Mic. Giuli al Foglio è arrivato passando dall'Agenzia Vespina (quella di un cavallo di razza del giornalismo come Giorgio Dell'Arti) attorno al 2004. L'assunzione da parte di Ferrara lo stesso Giuli l'ha raccontata così: «Un giorno Giuliano mi fa: Ma tu sei berlusconiano?. No!. Assunto!. Tutto in tre secondi». E di lui in quella redazione, in cui è stato notista politico, vicedirettore e condirettore, si ricordano: i cappotti serissimi che portava anche quando era un pischello («Mai visto con un giubbotto»), le cravatte a righe un po' bertinottiane, le giacche di lino e il cappello a tesa larga d'estate, la passione per la Tuscia, i sigari ma soprattutto «un piglio maieutico». Nei giornali non tutti sono capaci di giocare per gli altri, di valorizzarne le capacità. Lui si dice lo fosse. Anche capace di calmare un Giuliano Ferrara che «carica». Non è poco ed è una dote che, mutatis mutandis, in un ministero al momento incandescente non guasta. Ma sul giornalismo tocca fermarsi qui se no l'elenco diventa lungo: Linkiesta, Il Tempo, Libero, il Corriere dell'Umbria...

Poi oggi sui giornali di sinistra gemmerà, di sicuro, qualche chiosa su come e da quando conosce Giorgia Meloni, sulla storia personale di Giuli che lo lega molto alla destra, dove ha militato. Nonno paterno che iniziò il Ventennio con la Marcia su Roma e lo concluse a Salò. Papà sindacalista della Cisnal, missino, erede di una dinastia di proprietari terrieri marchigiani cresciuto nella convinzione che la Resistenza gli avesse rubato tutto. Abbastanza perché Giuli abbia avuto una militanza, dai 14 anni, nel Fronte della gioventù, innamorato dell'idea di sfondamento a sinistra della segreteria di Pino Rauti. Lo sfondamento non ci fu e Giuli e capì quello che c'era da capire. Del resto da parte materna ha un nonno che fece la Resistenza (e questo se lo ricorderanno meno, scommettiamo, a sinistra).

Ora si identifica nella «sinistra della destra», con una certa fascinazione per quella più paganeggiante. Una destra che vorrebbe gramsciana dal punto di vista culturale a partire dal suo ultimo libro: Gramsci è vivo. Sillabario per un'egemonia contemporanea (Rizzoli, 2024).

Un libro che molta destra non ha letto abbastanza bene e ora magari, visto che la politica è quel che è, trova modo di recuperare. Se no si può sempre tornare ad un altro titolo di Giuli: Il passo delle oche. L'identità irrisolta dei postfascisti, Einaudi, 2007.

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