Roma Syed Saleem Shahzad avrebbe compiuto 48 anni questo mese. Sono passati sette anni da quando il corrispondente di Aki-Adnkronos International è stato rapito e trovato morto con segni di tortura in un canale nel nordest del Pakistan il 31 maggio 2011. Una storia che ricorda da vicino quella di Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso in Egitto nel 2016. «Non si saprà mai chi e perché ha ucciso Saleem»: a parlare è Anita, la vedova del giornalista che, poco prima della sua morte, stava lavorando sui legami tra terroristi e militari. «Credo nella giustizia di Allah per Saleem e per i nostri sacrifici», dice la donna a proposito dell'inchiesta sull'omicidio del marito e su una possibile giustizia.
Rimasta a vivere con i tre figli in Pakistan, considerato il secondo Paese al mondo più pericoloso per i giornalisti dopo il Messico, la donna racconta le difficoltà incontrate dopo la morte di Saleem: «Non abbiamo ricevuto alcun aiuto dal governo. Non abbiamo ricevuto aiuto da nessuno». «Sono stanca, ma questo è quello che la vita mi ha dato - prosegue Anita - Allah mi ha reso grazia dandomi tre figli buoni e intelligenti. Il tempo mi renderà giustizia, per questa lotta che sto conducendo da sola». Di Saleem, Anita parla come di '«un buon padre e un buon marito». «Per lui - dice - sarebbe stato ora il momento di godersi i figli grandi, le loro confidenze e i loro successi».
Affinché sia fatta chiarezza su colpe e responsabilità nella morte del corrispondente di Aki-Adnkronos si sono levate negli ultimi giorni molte voci. Da quella del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani («bisogna fare piena luce su questa vicenda») al presidente della Camera Roberto Fico («era un giornalista coraggioso, dobbiamo fare chiarezza).
Sulla vicenda sono intervenuti anche la vicepresidente della Camera Mara Carfagna, la capogruppo di Forza Italia al Senato Anna Maria Bernini, Maurizo Gasparri, Pier Ferdinando Casini e giornalisti come Maurizio Molinari e Fausto Biloslavo.
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