«Il governo rischia di cadere su Ilva? Ma cosa mi dite mai! Suvvia, non scherziamo...». Il giulivo premier Conte allontana così, citando Topo Gigio, l'ipotesi drammatica (per lui) di una crisi sul caso Arcelor Mittal.
Ma la maggioranza resta in stato confusionale, squassata da risse continue: l'ultima è scoppiata ieri sul dl fiscale, con i grillini che accusano Italia viva di voler «cancellare il carcere per gli evasori». I renziani «devono decidere con chi stanno», si inalberano dal M5s. Nessuno però sa come far fronte all'emergenza Taranto: ne è prova l'imbarazzante decisione, annunciata ieri pomeriggio, di far slittare alla prossima settimana il Consiglio dei ministri previsto per oggi. Quello che, aveva avvertito solo 24 ore fa il capo di Fim Cisl Marco Bentivogli, era «l'ultima occasione utile» per ripristinare lo scudo penale, condizione minima necessaria a tentare di trattare con Mittal da posizioni meno deboli.
Conte si arrampica sugli specchi per sdrammatizzare il rinvio: «Alcuni ministri, per impegni istituzionali, mi hanno chiesto un differimento, e anche io sono fuori, quindi lo ho accordato volentieri». Tanto, prosegue l'avvocato del popolo, «è chiaro che qui non si tratta di definire il cantiere Taranto in due giorni: posticipare non cambia nulla».
Peccato che la manfrina nella maggioranza vada avanti da ben più di due giorni, e senza alcun risultato. I Cinque stelle, dilaniati dalle faide interne, ufficialmente mantengono la linea «muoia l'Ilva con tutti i filistei». Niente cedimenti a quelli che Gigino Di Maio chiama «gli indiani», cioè Arcelor Mittal (società multinazionale con sede nell'europeissimo Lussemburgo), niente scudo penale, niente trattative: «Il mio sogno è che l'Ilva chiuda», confida candida la grillina pugliese De Giorgi. Sogno praticamente realizzato.
Dietro i proclami massimalisti, però, i Cinque Stelle sono alla disperata ricerca di una via di uscita, e pronti (salvo una pattuglia di irriducibili) a trattare anche sullo scudo penale, a patto di non dirlo. Di Maio, che tenta di restar fuori dalla bagarre, ha mollato la patata bollente al ministro «competente» (si fa per dire) Patuanelli, e le assemblee dei parlamentari hanno affidato al mediatore un vago mandato a «individuare soluzioni per tutelare salute e lavoro a Taranto». Accompagnato dalla patetica raccomandazione a non mettere la fiducia «qualora si arrivasse» a votare la reintroduzione dello scudo penale: la speranza, insomma, è che siano i voti dell'opposizione a ripristinarlo, salvando al contempo il governo, lo scranno parlamentare e la faccia dei Cinque Stelle.
Quanto al Pd, sulla questione Ilva non è pervenuto: i suoi dirigenti tacciono, assistono più o meno attoniti ai contorcimenti e ai dilaniamenti degli alleati casaleggiani e invitano a «dar fiducia» e «far lavorare» il premier Conte. In che direzione, nessuno sa dirlo.
Dal Nazareno fanno filtrare a giorni alterni minacce di staccare la spina ad un governo che non fa nulla, ma poi niente accade. E anche dalle parti di Italia viva non si registrano toni particolarmente accesi, nonostante la presidente grillina della Commissione finanze Carla Ruocco abbia bocciato gli emendamenti renziani pro scudo penale.
Anche sulla legge elettorale, che doveva essere una delle priorità rossogialle, si registrano difficoltà: la prima riunione ufficiale di maggioranza ha partorito dei no (niente proporzionale puro, niente
collegi uninominali) ma nessun passo avanti in positivo. Nonostante l'impegnativa promessa di «concordare un testo base» entro il 20 novembre. «Almeno c'è accordo su ciò che non vogliamo: non era scontato», sospirano dal Pd.
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