Governo fuori tempo massimo: solo adesso pensa allo scudo

Maggioranza spaccata, indecisa anche sul decreto Il caso rischia di diventare una bomba sull'esecutivo

Governo fuori tempo massimo: solo adesso pensa allo scudo

Arcelor Mittal fa il gioco duro, il governo risponde con un tempismo imbarazzante. Il colosso dell'acciaio si è presentata a Palazzo Chigi con il magnate indiano Lakhsmi Mittal e mettendo la pistola sul tavolo: il documento legale che attiva la procedura di cessione di ramo d'azienda e la dichiarazione che l'accordo firmato con il governo Conte Uno non è più realizzabile. Unica via d'uscita: chiudere la strategica area a caldo dichiarando 5.000 esuberi. Una posizione choc, inaccettabile per il governo. Lo «scudo legale» che ha fornito all'azienda il pretesto per la rottura a questo punto diventa quasi secondario: serve soprattutto all'azienda per invocare la clausola ingenuamente inserita nell'articolo 27 dell'addendum all'accordo, secondo cui il cambio del quadro legislativo può essere causa di recesso, come ha sottolineato il segretario della Fim Cisl Marco Bentivogli.

Il governo ha fatto capire di essere pronto comunque ad adire le vie legali, ma il fattore tempo non gioca a favore: l'azienda, in attesa di una soluzione in tribunale rischia di morire. Ecco perché sorprende che dal Consiglio dei ministri seguito ieri pomeriggio alle tre ore di vertice governo-azienda, siano uscite ipotesi deboli, che sembrano volte più a dirimere le controversie nella maggioranza. Il governo è andato avanti sull'ipotesi tracciata dal ministro per il Sud Giuseppe Provenzano: «Stiamo ragionando su una norma generale e astratta che superi il vaglio di costituzionalità e sancisca un principio semplice: chi inquina paga ma chi deve attuare un piano ambientale non può rispondere per colpe altrui o colpe del passato». Significativo però che il ministro raccomandi un maquillage linguistico il cui unico scopo è di non irritare i grillini anti scudo: «È improprio parlare di scudo e di immunità». Guai: altrimenti si rischia la spaccatura dei 5s.

Per varare la norma, il governo esita tra i tempi lunghi dell'iter parlamentare e un decreto subito esecutivo. Segno che non c'è unanimità e si vuole rinviare il rischio di spaccature politicamente fatali, anche perché la legge finirebbe per essere votata anche dal centrodestra e non da una parte dei 5s, stravolgendo la maggioranza. Le tensioni sull'Ilva si uniscono a quelle tra Pd e renziani sulla manovra che hanno spinto ieri Zingaretti a mandare un minaccioso avvertimento: «Il governo va avanti se fa le cose per gli italiani, altrimenti perde la sua ragione d'essere». Formula che riecheggia quella usata da Matteo Salvini alla vigilia dello strappo di agosto.

Incertezze che attirano sull'esecutivo critiche spietate. «Basta con i dilettanti allo sbaraglio» dice Carlo Calenda che Zingaretti ora cita come possibile commissario per trovare una soluzione alla vertenza. Stessa accusa dall'ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, oggi europarlamentare: «Quale investitore internazionale può fidarsi di un Paese che cambia le regole in corso d'opera?». Severa anche Confindustria. «Se si tira troppo la corda e si fanno scappare gli investitori - dice il presidente Vincenzo Boccia - non c'è solo un danno per il territorio e la siderurgia, ma anche per l'immagine del Paese». E non è solo un modo di dire: ieri la notizia della fuga di Mittal dall'Italia è rimbalzata ovunque, dal Financial Times a Les Echos, al New York Times.

E ieri qualcuno ha ripescato e messo in Rete un video in cui un Luigi Di Maio, all'epoca alla guida del Mise e quindi regista

dell'operazione, ridacchia soddisfatto: «In tre mesi abbiamo risolto il caso dell'Ilva. Quegli altri lo avevano tenuto nel cassetto per sei anni». Parole che, alla luce della figuraccia internazionale, suonano come una beffa.

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