Di Maio e Salvini contro la Francia, ovvero: come spezzarsi le reni da soli.
I due vice-premier - presi per le orecchie dal Colle - innestano una precipitosa quanto tardiva retromarcia, inciampando però in una serie di spettacolari gaffe. Lo scontro gratuitamente aperto con l'alleato d'Oltralpe serviva, negli astuti piani dei due, a fare campagna elettorale, e a coprire, a mo' di cortina fumogena mediatica, i disastri economici provocati dal loro governo. Ma il terremoto che ne è seguito, e le gravi conseguenze che l'Italia rischia di pagare, li hanno colti impreparati. Il Quirinale ha mobilitato gli ectoplasmatici premier Conte e ministro Moavero per tentare di ricucire in fretta, e costretto i vice di Conte a provare a metterci una pezza. L'operazione avviata dai vice-premier sembra però un remake di «Totò, Peppino e la Malafemmena»: Luigi Di Maio, infatti, prende carta e penna e scrive a Le Monde: «Noio volevan savoir...». Ai francesi, il Peppino grillino spiega che - per carità - non voleva offendere nessuno con il suo incontro con i capi di una delle frange più violente e golpiste dei facinorosi «gilet gialli». Lo ha fatto dopo aver scoperto nel «programma» dei medesimi «temi che ormai superano destra e sinistra e mettono al centro i cittadini in un atteggiamento post ideologico». Poi si profonde in assicurazioni di «amicizia» con Parigi, assicura di tenere molto a «riaffermare la nostra volontà di collaborazione». E chiude infine con uno dei suoi proverbiali fuochi d'artificio: «L'Italia e il governo italiano - verga solenne - considerano la Francia come un Paese amico e il suo popolo, con la sua tradizione democratica millenaria, come un punto di riferimento». La perla sulla «millenaria democrazia» francese, buttata lì senza neppure un'occhiata a Wikipedia o un barlume di ricordi scolastici sul Re Sole, fa esplodere il sarcasmo dei social e le risate delle Cancellerie europee. Nel frattempo il povero Gigino viene mandato a quel paese persino dai tanto ammirati Gilet Gialli: «Dopo questa telenovela ho solo voglia di dire una cosa: ma occupatevi di casa vostra», gli replica a brutto muso una delle leader, «quanto accaduto mi pare poco serio, sembra il cortile della ricreazione».
Anche l'altro vice premier, nel frattempo, ne ha combinata una grossa: giovedì ha buttato il cuore oltre l'ostacolo, dicendosi «disponibile» - lui, ministro degli Interni - ad incontrare Macron per sanare le incomprensioni. La singolare proposta viene ovviamente respinta al mittente: «In Italia - gli ricorda il portavoce dell'Eliseo Griveaux - c'è un capo del governo, che si chiama Giuseppe Conte, e Macron lo ha già incontrato molte volte». Potrebbe aggiungere «inutilmente», ma si ferma lì. Rifilando però una staffilata finale: «Le loro frasette polemiche non hanno impedito all'Italia di entrare in recessione economica, unico Paese dell'Ue». Salvini, capita l'antifona, abbassa le penne e scrive al suo omologo francese Castaner una flautata captatio benevolentiae, evocando i «solidi rapporti bilaterali», assicurando «concreta volontà di collaborazione», e dicendosi «particolarmente lieto di invitarLa a Roma» per un «proficuo scambio».
La soave missiva viene poi venduta dal ministro ai suoi fan come una virile sfida: «Lo convocherò per chiedergli di rimandarci i terroristi italiani». Ma se la prende sui denti: spiacente, ma «non mi si convoca», replica Castaner, e il «dialogo deve essere rispettoso». La ricreazione è proprio finita.
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