Un governo più di somari che di sudisti

Nemmeno il siciliano Scelba o il partenopeo Leone arrivarono a tanto. Entrambi evitarono di circondarsi di ministri e affini necessariamente di origine meridionale.

Un governo più di somari che di sudisti

Nemmeno il siciliano Scelba o il partenopeo Leone arrivarono a tanto. Entrambi evitarono di circondarsi di ministri e affini necessariamente di origine meridionale. Capirono, per perizia politica come fossero necessarie le competenze e non il luogo di nascita, intuirono come il Paese avesse bisogno di personalità e non, sempre, di amici, fiancheggiatori e/o figure di margine, come alcune che agitano il gabinetto contemporaneo. Il governo Conte ha un record di presenze provenienti dal Mezzogiorno d'Italia, il 55 per cento dell'esecutivo batte il 51 per cento del governo di Giulio Andreotti, in carica dal 1989 al 1991, e, addirittura, il 54 per cento, stabilito, si fa per dire, dal governo del potentino Emilio Colombo, nel biennio dal 1970 al 1972. Otto ministri vengono dal centro nord, tre dei quali da Lombardia e Veneto, il resto è distribuito nelle varie regioni del Centro Sud. Ovvia, noiosa, scontata, la replica rabbiosa: trattasi di considerazione razzista, xenofoba, legaiola, una volgare tesi contro i meridionali (di cui faccio parte, con grande orgoglio e, però, prudenza). Vado all'immediata smentita: i tre governi di sinistra, o sedicenti tali, sotto la direzione di Renzi, Gentiloni e Monti, hanno fatto registrare il minimo sindacale della presenza di ministri meridionali ma cronaca e storia possono confermare il fallimento e la precarietà degli stessi e dei relativi Premier, dunque l'eventuale accusa di razzismo si sgonfia nel giro di quattro righe. La realtà dice che la presenza fondamentale del Movimento 5 stelle ha fatto prevalere la carta meridionale (così come, nel precedente governo, la presenza della Lega aveva aperto ai rappresentanti del nord), i ministeri chiave confermano questa direzione, in alcuni casi, nel ruolo, storico e cardinale per il suo risvolto internazionale, risultano competenze fragili e di nessuna esperienza, se non folkloristica; la gaffe di Luigi Di Maio sulla pronuncia anglosassone del sostantivo latino «virus», oltre ad alcune variazioni o distrazioni sull'uso del congiuntivo che, ormai, non è soltanto, presente, imperfetto, passato ma soprattutto trapassato, o il caso del pugliese Boccia che è passato, con disinvoltura, dagli aerei F35, considerati elicotteri antincendio, alle pettorine, già cimeli da collezionisti, degli assistenti civici, sono asterischi goffi che hanno riguardato anche i settentrionali al governo, il lombardo Toninelli e il suo tunnel del Brennero, l'illustre piemontese Fornero che frequenta l'inglese ma ha fatto ridere anche i britannici con il suo choosy riservato ai giovani fannulloni, senza dimenticare il suo capo Mario Monti, varesino, che definì il posto fisso una stupidaggine, essendo lui senatore a vita.

Il problema non riguarda la carta d'identità, la grammatica o la gaffe episodica ma la valenza professionale e l'intelligente distribuzione di compiti, prescindendo da abitudini, frequentazioni o interessi di partito. Del resto anche al nord si è sempre meridionali di qualcuno, a meno che non si sia eschimesi (Luciano De Crescenzo).

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