Puntate al dialogo, si era raccomandato Sergio Mattarella, e cercate un punto di intesa con Bruxelles. E infatti. «I saldi non cambiano, le misure non slittano - annuncia Luigi Di Maio - . Non tradiremo gli italiani, chi attende il reddito di cittadinanza e quota cento li avrà». E Matteo Salvini: «Non ci sarà nessun nuovo documento alla Ue, ora sulla Finanziaria deve esprimersi il Parlamento. Quando uscirà, la manovra sarà diversa». Se questo è il dialogo, sarà difficile arrivare a un'intesa.
Chissà, forse l'irrigidimento è solo una mossa tattica, uno stop-and-go studiato per confondere l'avversario. Come dice Di Maio, «stiamo trattando ma siamo in fase interlocutoria». O magari, dopo le aperture di lunedì, ora tocca rassicurare gli elettorati. Oppure la maggioranza sta cercando di guadagnare tempo, prima di decidere se far finta di cedere o cedere senza farlo vedere. Però il cambio c'è stato. Salvini aveva ipotizzato di sforbiciare il deficit, portando il rapporto dal 2,4 al 2,2, e il leader 5s pareva disposto a rimandare il redditto e metterci meno soldi sopra. Troppo poco per la Ue, ma pur sempre un punto di partenza interessante.
Adesso pare si torni di nuovo indietro. «I punti cardine della legge di bilancio, reddito, pensioni, flat tax e Ires agevolata per le imprese, non si toccano - avverte Di Maio - e la platea non cambia, stiamo semplicemente aspettando le relazioni tecniche per migliorare la quota investimenti e questo aiuta molto la manovra». E il ministro dell'Interno dice no alla Commissione che non si accontenta delle promesse del governo e vuole vedere le carte. «Nessuna relazione scritta».
Tuttavia c'è ancora brace sotto la cenere, come si capisce dalle parole pronunciate in serata da Salvini che segnano un'altra sterzata. «Non mi impicco sulle cifre e faremo di tutto per evitare la procedura di infrazione da parte dell'Unione. Stiamo rifacendo i conti su tutto, ma il numerino finale arriva alla fine. La manovra uscirà dal Parlamento diversa da come è entrata, questo è sicuro». Quanto al reddito pronto per marzo, «non ci metto la mano sul fuoco». Ecco, se ci saranno modifiche, verranno fuori dal lavoro delle Camere, cioè più avanti, quando forse la situazione sarà più calma e lo spread si fermerà. Bisogna vedere se l'effetto-annuncio funzionerà, Quello che conta adesso è tenere aperto il negoziato con l'Europa.
La mediazione, appunto. La settimana scorsa, prima del pranzo di Conte con Juncker e del vertice di Bruxelles, Mattarella ha ricevuto uno alla volta i ministri interessati e a tutti ha dato lo stesso consiglio: trattate, altrimenti l'Italia rischia il tracollo. Nessuna cena al Quirinale, solo faccia a faccia. Il primo a salire sul Colle è stato Di Maio, poi è stata la volta di Tria, Conte, Salvini e Moavero. Sempre uguale l'ammonimento rivolto a tutti nei diversi colloqui: ammorbidite la linea con Bruxelles per trovare un possibile dialogo «nell'interesse dell'Italia e della sua economia».
Il presidente, che non vuole crisi, non sta lavorando contro il governo, anzi con «patriottismo» lo sta accompagnando nel negoziato: le stesse raccomandazioni al dialogo le ha fatte al commissario agli Affari economici Pierre Moscovici e agli altri leader europei che ha
sentito nei giorni scorsi. La palla adesso è alle solite colombe. A Moavero che invoca lo «spirito costruttivo», a Tria che vede il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz. E a Conte. «Giuseppe ce la farà», prevede Di Maio.
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