Nuova grafica, vecchie ossessioni. L'antiberlusconismo è tornato a scandire la vita di quella parte del Paese che si riconosce nella bandiera di Repubblica e nel suo rifiuto dogmatico del Cavaliere. In verità pensavamo che il fenomeno fosse tramontato per sfinimento, dopo le interminabili campagne dei decenni scorsi contro il leader di Forza Italia. Errore, anzi illusione. Per comprendere la narrazione del giornale diretto da Mario Calabresi, bastava dare un'occhiata all'edizione di ieri. A pagina 11 la maxi immagine del Cavaliere accompagnava l'annuncio del restyling e la titolazione rafforzava il concetto, legando il countdown, «- 8 giorni alla nuova Repubblica», alla foto di Berlusconi «fra passato e futuro». Con il sontuoso corredo di un pezzo firmato dalla penna immaginifica di Filippo Ceccarelli.
Dunque, la macchina del tempo si è rimessa in moto e riprende l'inseguimento di Berlusconi, cento volte dato per morto, cento volte risorto e oggi al centro di tutte le trame politiche, in una sorta di seconda giovinezza. Il centrodestra vola in tutti i sondaggi, in vista delle prossime elezioni si respira un'aria di ottimismo e il Cavaliere, in versione statista, garantisce un profilo rassicurante alla coalizione, anche se non mancano frizioni e polemiche sulla leadership.
Dunque, a Repubblica hanno ritrovato la colla magica che serviva per fronteggiare le troppe emergenze: le spaccature dentro la sinistra, nel Pd, fra il Pd e i suoi concorrenti a sinistra, fra la sinistra di governo e quella radicale, e poi l'emorragia dei lettori e la concorrenza, imbevuta di giacobinismo, di un foglio aggressivo come il Fatto quotidiano.
Nei giorni scorsi c'erano state le avvisaglie del ritorno al canone tradizionale, allo spartito che per almeno due decadi aveva segnato il Paese: il 2 novembre scorso Sebastiano Messina aveva battezzato il nuovo antiberlusconismo con un articolo, sbandierato in prima pagina, pesantissimo fin dal titolo: «Torna l'impresentabile». Un testo che non poteva passare inosservato e sembrava echeggiare la vecchia, ormai ingiallita copertina dell'Economist, costruita nel 2001 come un verdetto definitivo, un cartellino rosso per Berlusconi, giudicato unfit, inidoneo, a governare l'Italia. Invece no: l'armamentario dell'antiberlusconismo era stato spolverato in fretta e furia e riproposto come mangime miracoloso, capace di interpretare i sentimenti dei lettori disorientati fra una linea renziana e un'altra antirenziana.
Infatti il giorno dopo, Alessandro Sallusti aveva dedicato l'editoriale del Giornale al rilancio di quel drago che aveva sempre sputato i suoi veleni ma sembrava fosse infine caduto in letargo. Più comodo illudersi di poter chiamare a raccolta forze ed energie diverse, semplicemente evocando il fantasma di Arcore. È proprio questa la strategia rivoluzionaria sposata dal giornale-partito: l'immersione, almeno su questo lato, negli anni Novanta. E la demonizzazione dell'avversario che già nel 94 aveva battuto la gloriosa macchina da guerra di Achille Occhetto.
Ora arriva la conferma nella corsa verso il giornale di domani. Sul Corriere della sera Angelo Panebianco ha scritto che l'antiberlusconismo accompagnerà il ritorno del Cavaliere ma solo fino a un certo punto. Si vedrà. Certo anche i tamburi delle procure hanno ripreso a rullare.
Nelle scorse settimane è piombata in redazione una notizia che sembra uscire da un'emeroteca vintage: Berlusconi e Dell'Utri sono di nuovo indagati, per la terza volta in diciannove anni, come presunti mandanti delle bombe di mafia del '93. In mancanza di meglio, la solita, eterna ricetta per fermare il nemico che non vuole lasciare il campo.
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