Meet up, tavoli di lavoro, liste civiche. La storia del Movimento cinque stelle, o meglio degli «Amici di Beppe Grillo», embrione pentastellato, partì proprio dalle città e dai territori. È l'ennesimo paradosso di una creatura politica che, arrivata al governo, si schianta al primo test elettorale. Proprio quello dei Comuni. E pensare che l'assalto al Palazzo d'Inverno del potere aveva avuto una forte accelerazione nel 2016, quando il M5s conquistò Roma e Torino strappandole al Partito democratico. Ora, invece, la fotografia delle elezioni amministrative post trionfo del 4 marzo, immortala un panorama desolato.
Sono sette i ballottaggi ai quali accede il Movimento, tre dei quali in Comuni capoluogo di provincia (Avellino, Terni e Ragusa). Con il rischio concreto di perdere al secondo turno anche la città siciliana espugnata nel 2013, un centro dove i Cinque Stelle sono stati terremotati dalle divisioni interne. Da una parte l'«indipendente» Federico Piccitto, sindaco uscente, dall'altra il nuovo candidato Antonio Tringali, di stretta osservanza «dimaiana».
Luigi Di Maio, però, ostenta sicurezza. E sul Blog delle Stelle scrive: «Davide continua a vincere contro Golia». Il capo politico rivendica i risultati ottenuti in pochi piccoli centri: «Al primo turno i nostri candidati hanno vinto a Crispiano in Puglia, a Ripacandida in Basilicata, a Pantelleria in Sicilia, a Castel di Lama nelle Marche». Quindi il solito racconto: «Il Movimento cinque stelle - scrive Di Maio - anche in questa tornata elettorale si è presentato da solo in tutti i Comuni contro coalizioni di decine di liste» e «contro la logica clientelare che ancora resiste in molte zone d'Italia».
Il riferimento, probabilmente, è alle regioni del Mezzogiorno. Dove alle elezioni politiche i pentastellati hanno sfiorato il 50% dei voti. E ora approdano soltanto ai ballottaggi di Avellino e Ragusa. Flop in tutte le città importanti. Da Nord a Sud. Il confronto con i dati del 4 marzo è impietoso. Ad Ancona si passa dal 33% al 17%, Avellino dal 39% al 20%, Barletta dal 50% al 18%, a Brescia, feudo del senatore Vito Crimi, la flessione è dal 18% al 5%, Pisa dal 23 al 9, Sondrio dal 17% al misero 3% di domenica, come Treviso dal 20% al 4%, a Teramo i pentastellati vanno dal 37% delle politiche al 13% delle comunali. Consenso in picchiata a Massa (30% - 13%) e a Imperia, nella regione di Beppe Grillo, dove il 30% del 4 marzo diventa un residuale 5%. A Terni il Movimento approda al secondo turno con una caduta più lieve, dal 29% al 24%.
I numeri più impressionanti sono però al Sud. A Brindisi si passa dal 44% al 17% e a Barletta dal 50 al 18. La Sicilia, vero serbatoio di voti grillini, consegna una débâcle. A Catania il 4 marzo il M5s aveva raggiunto il 47%, domenica si è fermato al 15, a Messina passa dal 45% al 10%. E nelle tre città dove era stato abbattuto il muro del 50% il crollo è verticale. Ragusa passa dal 52% al 22%, Siracusa dal 57% al 13% e Trapani dal 54% al 9%. Senza dimenticare Ivrea, cittadina cara a Davide Casaleggio.
Lì il candidato Massimo Fresc, sponsorizzato in pompa magna da Di Maio e dall'erede del guru, si è piazzato quarto raccogliendo solo il 13% dei voti.Infine i due popolosi municipi romani, al voto dopo il commissariamento delle mini giunte grilline. In entrambi i casi, il M5s è rimasto a bocca asciutta. La prima bocciatura elettorale per Virginia Raggi.
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