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La grande rivincita dei peones

Filippo Turati soleva dire: "Sono il loro capo e li seguo". Non hanno capito ma si sono prontamente adeguati.

La grande rivincita dei peones

Filippo Turati soleva dire: «Sono il loro capo e li seguo». Non hanno capito ma si sono prontamente adeguati. Si tratta, manco a dirlo, dei campioni di Sua Maestà la Partitocrazia che nell'aula di Montecitorio da lunedì scorso si sono misurati dando il meglio del peggio e uscendo dalla tenzone chi più, chi meno con le ossa rotte. Si fa presto a dire il perché. Come i pellirosse, avrebbero dovuto mettersi con l'orecchio a terra e ascoltare il rumore crescente proveniente dai gregari. Ma sì, diciamocela tutta, dai peones.

E invece niente. Fin quasi a pochi minuti dalla ventiquattresima ora non hanno avuto l'umiltà di guardare in basso. E sono andati dritti per la loro strada fino a sbattere la faccia al muro. Eppure, il primo scrutinio di lunedì scorso avrebbe dovuto allarmare i naviganti. Alla direttiva di votare scheda bianca, hanno detto di no in 304. E quel no, per la prima volta nella storia delle elezioni presidenziali, si è manifestato non già a volto coperto ma a viso aperto. E questo perché chi ha detto signorsì è passato attraverso la cabina come i bersaglieri di La Marmora alla Breccia di Porta Pia: a passo di carica. Mentre coloro che in cabina si sono trattenuti per votare qualsiasi nome gli venisse in testa hanno dimostrato di essere dei signornò.

Enrico Letta, che pure non è considerato un fulmine di guerra né una volpe di Montecitorio, ha giocato astutamente di rimessa inondando le urne di schede bianche o dichiarando l'astensione. Anche perché più solo non poteva essere. Avendo per compagno di sventura quel Giuseppe Conte che si rimira allo specchio non solo perché si ama e si contraccambia ma anche per dimostrare a sé stesso di esistere. Peraltro tormentato da Luigino Di Maio, con il tempo cresciuto ci voleva poco! a dismisura. Di là Matteo Salvini ha bruciato nominativi in quantità industriali, una vera e propria strage degli innocenti, e alla fine è rimasto con un pugno di mosche. Se a manca Atene piange, di sicuro a dritta Sparta non ride. Perché nella votazione sul presidente del Senato i franchi tiratori sono stati ben 71, nonostante si sia cercato inutilmente di «segnare» i nomi della candidata. E, secondo calcoli attendibili, 35 voti sono andati al capo dello Stato.

Intanto, in questo assoluto marasma, i voti per Sergio Mattarella a poco a poco sono lievitati. 16 al primo scrutinio, 39 al secondo, 125 al terzo, 166 al quarto, 136 al sesto, 387 al settimo e poi il diluvio all'ottavo. Ma prima che i peones prendessero il sopravvento, i capigruppo della maggioranza si sono fatti una passeggiata fino al Quirinale e, con il cappello in mano, hanno implorato Mattarella a rispondere sì come la monaca di Monza al loro grido di dolore. È stato il riscatto dei peones, non più disposti a subire.

Una gran bella pagina: la democrazia ha battuto l'oligarchia 2 a 0.

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