Della serie: anche le formiche nel loro piccolo si riorganizzano. Gli alfaniani perdono pezzi. Male per Renzi, quindi. Che però guadagna qualche stampellina in più grazie ai pentastellati delusi. È il solito gioco dell'oca che, ad oggi, non si sa se sia a somma a zero oppure no. Palazzo Madama è il campo di battaglia. Il senatore alfaniano, Antonio D'Alì, ha appena sbattuto la porta per tornare alla casa madre di Arcore. Angelino, giusto ieri in occasione del conclave con i suoi gruppi parlamentari, ha fatto spallucce: «Il siciliano Tonino ci ha lasciati? Amen - ha sentenziato graffiando - L'operazione Lassie ha avuto un risultato modestino: in altri tempi Berlusconi ci avrebbe portato via pure la sede del partito... Ora invece... Soltanto uno». Peraltro rimpiazzato subito con il senatore Pietro Langella che lascia Gal e va al posto di D'Alì.
D'Alì sarà l'unico a sbattere la porta oppure no? Alfano giura di sì ma ci credono in pochi e lo stesso senatore siculo ammette serafico che «so che c'è qualcuno che sta facendo la stessa mia valutazione». Le voci, a palazzo, si rincorrono da settimane: sono nove, otto, quattro, almeno due o tre. Ovviamente chi sta valutando il rientro a casa lo fa sotto coperta. E altrettanto ovviamente, è proprio per il timore di una diaspora che Alfano ha ieri messo il turbo alla creazione di un supergruppo con Udc, Popolari di Mauro e brandelli di Scelta civica, anticamera di un partito unico con simbolo unico. Obiettivo: contare di più nella maggioranza visto che troppi lamentano di essere ininfluenti a palazzo Chigi. Peggio: ieri il senatore Gualdani si sarebbe sfogato: «Possibile che i nostri ministri e sottosegretari non rispondono neppure al telefono?».
Insomma, se Ncd perdesse altri pezzi - ne bastano otto o nove a Palazzo Madama - Renzi comincerebbe a ballare. Ma attenzione: il premier ha delle stampelline di riserva, prima di andare ad Arcore e chiedere il «soccorso azzurro». Il bacino pentastellato è tutt'altro che un monolite. Sempre al Senato, Grillo ha appena perso il quindicesimo senatore in un anno e mezzo. A sbattere la porta del Movimento è la senatrice Cristina De Pietro, eletta in Liguria. Ancora non sono ufficializzate le motivazioni dell'addio ma se anche quest'ultima facesse come qualche suo collega ex grillino, Renzi sorriderebbe. Lorenzo Battista, ad esempio, è un pentastellato pentito che ha addirittura votato la fiducia al Jobs Act. Naturalmente tra gli sfottò e i «buuu» dei suoi ex colleghi-cittadini. Più o meno analogo atteggiamento tenuto da Adele Gambaro, anche lei grillina pentita, che sul Jobs Act non ha votato a favore ma quasi, astenendosi. Il M5S è il ventre molle su cui i renziani stanno lavorando: altro sentore il Movimento sta traballando arriva dalla Camera dove Adriano Zaccagnini ha appena detto addio a Grillo e Casaleggio, andando, però, tra le braccia di Vendola.
Trasformismi, movimenti, cambi di casacca, tentazioni: non che il Pd sia una caserma, anzi. La minoranza antirenziana, piallata alle ultime direzioni di partito, è doma ma non morta. Vietato parlare di scissioni ma un pensierino qualcuno lo fa. Civati, all'indomani della fiducia sul Jobs Act - vero e proprio rospo da ingoiare per lui e altri pasdaran - aveva velatamente minacciato: «Il problema del Pd non sono vere o presunte scissioni ma il fatto che poi qualcuno si disamora e quando ci si disamora dopo si finisce per innamorarsi di qualcos'altro». Più chiaro di così...
I numeri, se così fosse, tornerebbero a impensierire il premier che però ha in mano un'arma micidiale: il voto. Magari approvando al volo la legge elettorale. Non l'Italicum, però, ma il Mattarellum. Tagliando così le gambe a Berlusconi, Alfano, Cesa e i dissidenti interni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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